Una specie di ansia della materialità si respira per tutto Dentro, l'album dei La chiave del faro gruppo alt-pop di Gubbio. Un lavoro autoprodotto e corsaro a cui non importa troppo di suonare giusto per i gusti o le mode contemporanee ma che invece vuole perseguire la propria, indiscussa, vena artistica, griffe musicale e anima libertina.
Lo si capisce subito, sin dal primo pezzo, Strage nel deserto che si presenta come una tonante canzone piena di riff e di muscoli, con un testo non banale ma dove a far la parte del leone sono gli strumenti, suonati con una verve e una materialità (ancora una volta ritorna questa parola) molto anni Settanta. Questa possenza, in special modo delle chitarre, la si può ravvisare anche nella seconda traccia, San Complotto e La Rotella. In questo caso le atmosfere sono un pochettino più dilatate e il testo offre spunti, anche lirici se si vuole, notevoli.
Eppure Federico Gioacchino Uccellani, Luigi Benedetti e Jacopo Baldinelli badano sempre molto al sodo e nella quinta canzone, intitolata quasi beffardamente La Cura dei Cori. Un pezzo maschio, possente e deciso, un funky tutto basso, chitarra e batteria: niente di più e niente di meno.
Ecco che in questa assoluta semplicità e drittezza si può ritrovare la vera anima del gruppo di Gubbio. Un'anima che sa di sudore da palco e ore passate in saletta a provare e riprovare i propri pezzi, con gli amplificatori ormai sfiniti che fischiano come gatti in amore. Forse non è il trionfo dell'originalità e dei suoni ricercati e eccentrici ma, in questa costante ricerca della materialità, i Le chiavi del faro hanno trovato il bandolo della matassa: salire sul palco e suonare dello sporco e crudo rock&roll.