#7: Omaggio alle Vigne Nuove
Dentro la Capoccia: racconti sul primo anno di vita nella Capitale
Ognuno di noi ha un cognome pesante. Le gesta degli avi che ci hanno preceduto in quell’enorme stravagante mosaico che è la nostra famiglia – dallo zio che fumava 40 sigarette al giorno e è campato fino a 94 anni passando per i parenti in America alla zia che vizia il figlio – ricadono su di noi come uno schiaffo sul collo. Come un coppino. Ti ritrovi un bel giorno che non sei più la somma di tutte le tue azioni. Sei la somma delle azioni di tutta la tua famiglia. E non importa quanto il mondo sia grande, inospitale, ostile e frenetico, gira che ti rigira, si sa che fine fa il cetriolo dell’ortolano. La trasmissione genetica non si ferma ai tratti somatici: c’è il modo di camminare, il modo di conversare, il modo di cucinare e di mangiare. Dimmi chi ti ha dato l’esempio e ti dirò chi sei.
È così che funziona, no?
Appunto: mi trovavo in un baretto pieno di storia con le pareti rosse, proprio di fronte alle Mura di Porta Labicana.
Più o meno mentre Enrico Letta strisciava da Giorgio Napolitano con la lettera di dimissioni in mano, qualche kilometro più a nord, stavo bevendo una birra col mio coinquilino Mimmo, parlando di questioni di vita o di morte, quando arriva un tizio, mi bussa sulla spalla e mi fa:
Scusa, ma tu sei il fratello de Braconi?
Ecco, questa è una domanda tipo .La nonna di Pierino ha tre nipoti: Qui, Quo………. e?; cioè, io manco ti conosco e tu mi trasformi da Braconi al fratello di Braconi. Ma pe chi m’hai preso, pe la Santissima Trinità? Ho la maglietta di uno che può essere Uno e Trino?
Io boh!
Colto un po’ alla sprovvista mi trovo costretto a dire quello che riesco, la verità: sì, so io.
Ah ecco.
Mi fa.
E se ne va.
Cioè mi aspettavo almeno una richiesta di autografo, una foto insieme, un incoraggiamento a farsi stampare la mia impronta digitale, che ne so, qualcosa. Ma le nostre speranze superano sempre le aspettative e l’uomo è umano quanto la gallina vola. E allora lui se ne torna a giocare a biliardino e io riprendo le questioni di vita e di morte con Mimmo.
Mio fratello, nell’ambito del calcio balilla, è una personalità. Sta in nazionale, va a fare i Mondiali. Gira un sacco, vince i tornei. Conosce, ed è conosciuto, da più gente di quanta ne potessi immaginare. È stato lui che, qualche mese prima, mi aveva introdotto al Presidente, al Direttore e al Capitano in un circolo di biliardi a via Prenestina.
Il Presidente, il Direttore e il Capitano sono tre uomini vissuti grandi e grossi, all’occorrenza pure tatuati sul corpo. Non hanno niente a che vedere con Qui, Quo e Pierino; primo perché sono cresciuti in un ambiente molto meno ospitale di Paperopoli, secondo perché sono persone vere, che vivono una vita vera e, a una prima impressione, non sembra abbiano niente a vedere con i cartoni animati. Forse Ken il Guerriero, ma più romani de Roma.
Siamo noi quattro dentro il Circolo ancora vuoto, in questo misterioso sobborgo capitolino…
Eh insomma, te sei il fratello de Braconi!
Non me lo chiedono. Me lo comunicano.
Allora, ti spiego subito: devi sapere che qui a Roma c’è un campionato di biliardino. Tutti i quartieri fanno una squadra e si sfidano. Se vinci il girone vai a giocare la fase finale e se vinci pure la finale, vai in Valle d’Aosta a fare i campionati nazionali. È una cosa sentita. Noi c’abbiamo un progetto: quest’anno volemo vince. Poi vabbé, se non vinci pazienza, comunque se divertimo, stamo insieme tra di noi, giochiamo, ci alleniamo, passiamo una bella serata, però la volontà di vincere c’è. Te lo dico sinceramente.
E allora giù a spiegargli che non sono un giocatore eccellente, che il cognome non basta, che comunque ero parecchio fuori allenamento, che ancora non vivevo a Roma, tutte ste belle cose qua. Ma loro, con la loro risposta, mi convinsero praticamente subito.
Mi dissero:
Ah Federì, nun ce frega ‘ncazzo!
Nei mesi a seguire espugnammo San Basilio, Centocelle e Prima Porta e ci guadagnammo la finale. Che fu una giornata veramente irripetibile.
In una grandissima sala dal pavimento rosso c’erano, raggruppati in gruppetti da cinque o sei, tutti i campioni dei rispettivi quartieri. La squadra dei Parioli con i loro bicipiti pompati e le tute firmate, i signorotti barbuti e robusti di fettuccine della Garbatella, gli studenti e i professionisti di San Giovanni, i bravi ragazzi dell’EUR che si erano allenati per tutta la vita dai Salesiani. Tutti nel religioso silenzio a cercare di estrapolare da loro stessi la massima concentrazione.
Beh, tutti tranne loro: la squadra di Vigne Nuove. Quell’unico gruppo, scanzonato e caciarone, rideva forte facendosi beffa dell’agonismo che aleggiava: aho ma do’ devi anda’ co’ sta faccia, a un pigiama party al Verano?; aho ah Chicco! ma che se festeggiano i morti oggi lì al quartiere vostro? chiedevano, esplodendo in sonore risate.
Erano, tra tutti, quelli più rilassati: avevano le stesse possibilità di vincere il campionato del Chievo ma si approcciavano come fossero il Brasile.
La sala era strapiena di gente.
Era tutto pronto.
Il Trofeo della Roma League sarebbe stato assegnato quel giorno stesso.
Ecco – prima di andare avanti – c’è una cosa di cui sono sicuro: in giro per il mondo c’è un altro Braconi che è il fratello di Braconi: l’altro mio fratello. È uno di quelli che sono emigrati a cercare di far rispettare il nome dell’Italia in mezzo a migliaia di altre persone che cercano di portare in alto i colori delle loro nazioni. Quando mi chiedono di lui io dico che sta a Londra e, puntualmente, nel 99% dei casi, mi sento rispondere:
Beato lui.
Cioè: lavora quattordici ore al giorno in un ristorante per super ricchi, mignotte e spendaccioni, per tirare fuori il necessario per vivere e per poter uscire quelle poche volte che i turni e la stanchezza glielo permettono, ma beato lui, sta a Londra. Filare, fila.
Ma non ci pensiamo: si parlava della Roma League, no?
Ok: a parte il fatto che non capisco bene che cosa abbia da invidiare Roma a Londra in quanto a magnificenza strutturale e interesse delle persone che la abitano, per cui mi trovo costretto a ignorare le ragioni per cui ognuno che dice di vivere a Roma non debba sentire rispondersi Beato te!; ma vabbé.
Man mano che giocavo con i miei nuovi compagni, partita dopo partita, esultanza dopo esultanza, battuta dopo battuta, iniziai a maturare l’idea che nella vita, più del luogo in cui vivi, del lavoro che fai e dei locali che frequenti, conta la compagnia.
Magari quando c’è qualcosa che non va, ci incaponiamo sulle cose che stiamo facendo, credendole sbagliate, quando magari le stiamo semplicemente facendo con le persone sbagliate. Se ti trovi male nel tuo nuovo lavoro nella compagnia di assicurazioni, non è detto che le assicurazioni non siano la tua strada solo perché il tuo capo è uno stronzo. Cambia compagnia.
Se sei un buon terzino destro ma nella tua squadra ci sono già tre terzini destri figli e nipoti dei dirigenti, magari puoi continuare a giocare, ma in un’altra squadra.
E allora, partita dopo partita, esultanza dopo esultanza, battuta dopo battuta iniziavo a realizzare la potenza della compagnia. Avreste potuto prendere qualsiasi giocatore del Vigne Nuove e trasferirlo in una qualsiasi altra squadra e, probabilmente, sarebbe diventato una mezza pippa. Le energie e l’entusiasmo dei compagni, in quella strana giornata, lo rendevano invece quasi invincibile. Che ci crediate o no, le energie e l’entusiasmo non sono trasferiti dai luoghi, o dalle attività che si fanno (o almeno, non solo): la vera potenza di ogni singolo essere umano è data dalla simbiosi coi suoi simili, con le altre persone che gli stanno attorno.
Beh, quel giorno vincemmo e ce ne andammo tutti insieme ai Campionati Nazionali.
Come un Chievo può battere un Brasile.
Mentre gli altri cercavano di vincere il Torneo ancora legati all’ottica aziendale del becero raggiungimento di un obiettivo, il Vigne Nuove Foosball Club, lottava e si caricava, come un’unica entità, e questo è quanto.
E se c’è una cosa che ho capito da quella giornata (sì perché è pur legittimo che uno si interroghi sugli insegnamenti di ogni data situazione), più del fomento che si prova a vincere una competizione sportiva; è che non importa che tu sia una prostituta alle prime armi, un cameriere italiano a Londra, un becchino con crisi d’identità, un filosofo dal brillante avvenire, un cittadino portoghese, un fruttarolo spagnolo, americano adottato, terzino destro o sinistro. Si dovrebbe ricordare a noi stessi, di tanto in tanto nel corso delle nostre piccole battaglie, che la gente allegra, Dio l’aiuta.
Ogni volta che vado in saletta a Vigne Nuove c’è una coppa che me lo ricorda.
PS: Ho ricevuto il permesso di pubblicare qualche post di Facebook dei componenti della squadra. Pillole d’ironia capitolina in trecento battute.
Se le volete leggere, qua stanno.
C’avete presente le hostess che vendono le sigarette?
Lei “buongiorno fumi?”
Io “no sto a compra’ le sigarette a mi madre”
Lei “sicuro?”
Io “certo”
Lei “cioè te sei preso il caffè e mo non fumi?”
Io “no non fumo… Scusa ma vado di fretta”
Lei “perché c’hai l’accendino in tasca?”
Io “pe fa accende mi madre”
Lei “se fumi e me stai a di una bugia magari mori”
Bene…. Buongiorno
Entro dentro sta specie de pizzeria e ce sto solo io… Non ho cenato ieri e c’ho fame tanto
Io ” me fai un Hot dog?”
Lui”salse? ”
Io” Maionese e ketchup”
Io ” me ne fai un altro?”
Lui”salse? ”
Io” si uguale a prima Maionese e ketchup”
Ma ho ancora fame
Io ” me ne fai un altro?”
Lui”salse?”
Io “Eccheccazzo.. Macafattaooo”
Giro per l’ospedale con la mia felpa arancione co le scritte della ditta e le scarpe antinfortunistiche…
Una signora “scusa lavori qua?”
Io “no so er fio de van Basten”
Un augurio particolare da parte mia va a C.M (altro componente della squadra, ndr)…. La tua scelta di partire in missione umanitaria non fa che confermare quanto gia’ di buono pensavo di te e accresce a dismisura la stima che ho nei tuoi confronti … sono sicuro che questo viaggio ti aprira’ cuore e mente oltre ad allargare il tuo bagaglio di esperienza culturale e di vita … credo che proverai un mix incredibile di sensazioni e saranno proprio quelle sensazioni che ti faranno sentire ancora più vivo … Per me sei un grande … tantissimi auguri e buon viaggio amico mio!!
(POST DELL’OTTO DICEMBRE, GIORNATA TRADIZIONALE PER FARE L’ALBERO DI NATALE, Ndr)
Sto periodo me dice talmente male che parlando co n’amico gl’ho detto
“Mo faccio l’albero”
S’e’ subito fermato un cane a famme la pipi’ addosso …
Buongiorno a tutti!!!
Io “ciao sono Mirko”
Lei “maddaiii io mi chiamo Marika è il femminile”
Io “già… Io lavoro allo Spallanzani”
Lei “nooooo pure io! ”
Io” mmm… Abito a Vigne Nuove ”
Lei “Io a Talenti… Stiamo viciniiiii… Secondo me il destino ci ha fatti incontrare”
Io “beh se poteva fa li cazzi sua… A me già m’hai rotto li cojoni!!!”