polizia celere

#18: L’ora di avere ragione

Dentro la Capoccia: racconti sul primo anno di vita nella Capitale

«Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio.
Sempre.»

Ecco: Jose Saramago – pure se non ha mai fatto un Master di Montaggio audio e Video – è palese che il Nobel per la letteratura non l’ha vinto alla pesca della Pro loco. Il fatto è che per andare al Master io faccio lo stesso cammino tutti i giorni, tracciando lo stesso percorso tutti i giorni. Via Tiburtina, via dei Marrucini, viale delle Scienze. Giusto per fartelo sapere, Jose. Eppure io lo vedo che il cammino è ogni giorno diverso rispetto al giorno prima, che i percorsi sono sempre un po’ più familiari. Ciò che prima era un percorso sconosciuto, adesso è un percorso “mio”. E non è solo merito di Google Maps. È straordinario notare il processo di interazione Uomo-Mondo, vedere come si influenzano l’un l’altro, come siano uno il frutto dell’altro, come si penetrino l’un l’altro giorno dopo giorno, specialmente se questo mondo si chiama ROMA.

Saluto la bella barista del BAR DEI BRUTTI e proseguo oltre, con l’ombra dei palazzoni della Tiburtina che ostacolano ai raggi del sole la visuale della mia camicia nuova e dei miei occhiali scuri.

Cammina cammina, arrivo al cancelletto del Centro Teatro Ateneo.

Oltre il cancelletto, un piccolo gruppetto di studenti che sta fumando sommessamente, dopo di loro una piccola scalinata stretta di marmo mette in risalto una porta a vetri, aperta per metà. Attraversata quella porta bisogna fare una scelta: da una parte c’è il Lucernario, occupato qualche mese fa da un gruppo organizzato di studenti, e dall’altra la Sede del tecnicissimo e istituzionalissimo master di Editing dell’Antica Università Sapienza. Destra o sinistra. Istituzione o sovversione. Pillola rossa, pillola blu.

Traccio lo stesso percorso e vado a scuola.

È venerdì 11 aprile, ultimo giorno prima delle vacanze di pasqua e sembra essere tornati al liceo. La luce filtra dai buchi delle serrande e l’aria di primavera invade dolcemente l’aula. Tutti che parlano sottovoce aspettando che arrivi la professoressa. Sono passate poche settimane dal mio primo arrivo in questa stanza e, laddove prima c’erano solo un gruppo di coetanei dietro agli schermi dei telefonini, ora c’è amicizia, cortesi antipatie, gruppetti, progetti comuni, e vita vera in generale.

Butto la borsa sulla sedia della mia postazione e raggiungo un paio di amici alla finestra.

Nel grande cortile di sotto, stanno preparando qualcosa.

Sotto i portici di marmo gli okkupanti del Lucernario, foderati dalle loro maglie colorate e dalle loro kefiah, hanno portato dei bancali di legno, foderati di stoffa verde e blu e li hanno trasformati in divanetti low cost a libera fruizione. Un paio di ragazzi danno una mano al DJ che sta allestendo la consolle, al centro di un gazebo. Sullo sfondo degli altri, delineano lo stato embrionale di un murales, spruzzando bombolette gialle arancio e viola su un grosso pannello bianco. Tutt’attorno artisti di strada che giocolano con le palline, pagliacci truccati, studenti in pausa caffè e coppiette spensierate si godono il pomeriggio di un notevole venerdì d’Aprile.

Braconi?

Mi ricordo i primi giorni che frequentavo il palazzo quando vedevo quei quattro o cinque pischelli che appendevano locandine ai muri. Pensavo “ma che devono fa, questi?”. LUCERNARIO OKKUPATO. Piano piano, i giorni passavano e i pischelli diventavano sette, otto, nove. Noi a pochi metri eravamo immersi nei nostri programmi e cercavamo di migliorarci davanti agli schermi dei nostri Pc e loro diventavano dieci, dodici, venti. Lezione dopo lezione, incontro dopo incontro noi diventavamo sempre più preparati e loro crescevano in numero, entusiasmo e fantasia.

30.
40.
50.

Hanno restaurato un pianoforte e l’hanno messo nel corridoio, a disposizione di chiunque abbia voglia di esprimere la sua vena musicale. Hanno creato un laboratorio di sartoria dove chiunque può presentarsi e imparare come farsi un vestito da solo.

BRACONI!

La settimana scorsa è uscito, impacchettato in una grafica mostruosamente accattivante, il numero 0 della loro rivista “Roma si barrica”. E continuano a crescere. Hanno trasformato il cortile della Sapienza in un’allegra, civile, piccola Ibiza. Stanno mettendo su una festa all’aperto con la forza del sorriso e… ecco io me la immagino la faccia del Vegano-non-fumatore con gli occhiali che fa jogging tutti i giorni dire: “Sì ma loro sono entrati con la forza! Hanno sfondato la porta! Non è giusto appropriarsi degli spazi di tutti! bla bla bla bla…”
Sì, ok. Ma che male c’è a dare un pugno in faccia a un morto per fargli vivere una vita nuova?

Braconiiii!!! Ma insomma! Ma che non ti piace la visuale della finestra di casa tua? Sei venuto a studiare montaggio o a guardare la primavera? Forza, via di lì e vai al computer!

Mi ridesto e mi volto. È la professoressa che mi richiama dall’alto della sua cattedra. Non mi faccio trattare così.

Professoressa. Io ho pagato per fare questo master e lei non si deve permettere di parlarmi così. Se io voglio stare alla finestra, sto alla finestra. Sono fatti che non la riguardano.

E lei:
Ma possibile?! Tutti uguali voi giovani. Sciocchi e permalosi! Non vedete l’ora di avere ragione! A me mi pagano per tirare fuori il meglio dai miei studenti. Quindi adesso tu, per favore, ti stacchi da quella finestra e vai alla tua postazione senza rompere i coglioni.

Ubi maior, minor cessat.
E mi piazzo davanti allo schermo del Pc.

Manco faccio in tempo ad aprire il programma che parte da fuori un funky armonico e allegro che mette sull’amaca l’anima. Una specie di colonna sonora di Fifa 99. Chissà quanto si starà fomentando il Dj, di sotto!

Le frequenze della musica si fondono con i pollini e entrano dagli spiragli delle finestre, interferendo con le frequenze delle interviste che dobbiamo montare per esercitarci.

Un mingherlino col maglioncino blu dalla dubbia eterosessualità, seduto due banchi avanti a me, decide che nun ce vole sta. Sbatte le mani sul tavolo e scatta in piedi. Parla italianissimo.

“Ma insomma, basta! Io ho pagato per fare questo master. Ma ti pare che non riesco a lavorare perché questi si vogliono sentire la musica? Ora vado giù e gliene dico quattro!”.

Lì per lì ha un attimo di esitazione. Si guarda attorno. Si vede che sta sperando che qualcuno lo faccia ragionare. Che gli dica: “Ma do’ cazzo vai!? Sei alto un cazzo e una vigorsol, pesi trenta chili, ma che devi fa? Scendi di sotto e ti trovi davanti a 50 persone che squottano, che sfondano le porte e vanno a fare gli scontri con la polizia. Ma che, te s’è smontato il cervello?”

Ma niente. Manco la professoressa che vuole il meglio per i suoi studenti ci mette bocca e allora il nostro giovane pischello si incammina mesto come un condannato a morte.
Immagino che tornerà con un occhio nero: cose che capitano a chi decide di immolare il volto per salvare la faccia.
Come esce dalla stanza (tempo cinque secondi) ci fiondiamo tutti alle finestre. Chi la dura la vince, professore’.

Il povero compagno sbuca dalla porta del cortile. Si fa coraggio. Scatta col mento in su, petto in fuori e col ditino inquisitorio puntato verso il centro della festa si avvicina a passi nervosi. Si fa spazio tra la marmaglia e entra nel gazebo, scomparendo dalla nostra visuale.
Momenti di tensione in aula. Ci guardiamo negli occhi. Qualcuno scuote la testa. Una compagna tira fuori il rosario e sospira “che Dio l’abbia in gloria.”

Poi la magia della vita.
E la musica si spegne.

Torniamo ai nostri posti nell’incredulità generale e rientra poco dopo il giovane eroe col mento che tocca il soffitto tanto sta in su e con lo sguardo fiero, come a dire “Avete visto, brutti stronzi?”.

Si ferma al centro della stanza, sospira, e fa : ”Hanno capito. Gli ho spiegato la situazione, che stavamo facendo un montaggio con delle scadenze precise e hanno detto che riaccenderanno la musica alla fine della lezione. Per la cronaca: hanno messo su questa festa per organizzarsi per la manifestazione di domani contro la precarietà. Ci hanno invitato a scendere.”

Ah già. Domani dentro la Capoccia c’è una grande manifestazione contro la precarietà e l’austerity. Sicuramente sarà un’altra meravigliosa occasione democratica di confronto tra le istituzioni, le forze dell’ordine e un gruppo sempre maggiore di giovani italiani che non vedono l’ora di avere ragione.

Grazie


Per 15 anni Paper Street è stata una rivista on-line di informazione culturale che ha seguito con i suoi accreditati i principali festival europei di cinema e musica: decine di collaboratori hanno scritto da tutta la penisola dando vita ad un archivio composto da centinaia di articoli, articoli che restano a disposizione di voi lettori che siete stati un numero incalcolabile nonché il motivo per cui, per tanto tempo, abbiamo scritto con passione per questo progetto editoriale che ci ha riempiti di soddisfazioni.

This will close in 30 seconds