Dentro il fragile nastro di ‘Letizia forever’ – Teatrino Controverso
I fabulosi anni Ottanta. Gli anni in cui farsi una carriera sembrava ancora possibile, il cambiamento non era un miraggio e il benessere una promessa. È in questi anni chiassosi, vivaci e appariscenti che si consuma la giovinezza di Letizia, protagonista di Letizia Forever, scritto e diretto da Rosario Palazzolo.
Lei aspetta già in scena, sguardo timido e sognante, all’interno di un piccolo piedistallo. E poco importa se quel rossetto contrasta con una barba folta, se quelle ciabattine rosa e il vestito attillato aderiscono al corpo di un uomo (Salvatore Nocera): Letizia è una signora di una sensibilità tutta femminile, creatura fragile e delicata, tenera e maliziosa. Eppure, fin dall’inizio, dietro quel sorriso dolce sembra essere impresso qualcosa di torbido e inconfessabile.
Letizia ama la musica, genere-amore, s’intende, e rigorosamente italiana. Così, in quella misteriosa cura musicale cui è sottoposta, la musica viene ad assumere un potere ipnotico, tanto da portarla in uno stato quasi di trance in grado di risvegliare l’incoscio e rivelare veramente sé stessa. Ecco che fra il play e il pause del mangiacassette, Letizia comincia a raccontare la sua vita sullo sfondo delle sue canzoni preferite – con tanto di luci rifrangenti e atmosfere disco anni ’80 -; racconta l’infanzia nei quartieri poveri di Palermo, l’amore che arriva con il nome di Salvatore, una nuova vita a Milano. Letizia parla in modo tutto suo – inflessioni del siciliano misto a parole inventate – un linguaggio ricco e vivace, creativo come lei, che vede tutto con occhi ingenui in cui ogni cosa è una scoperta. Sono parole che infondono calore umano, di una semplicità disarmante nel loro non-sense poetico così comprensibile, in grado di strappare risate sincere a quel pubblico assorto e divertito che le ascolta.
La realtà è ciò che Letizia vede: la casa vista case, il matrimonio, i figli; ma non appena arriva il tradimento del marito, proprio all’inizio del 1990, il nastro s’inceppa e Letizia si perde: è il momento della cosa schifosa, che vede la donna protagonista di un gesto drammatico di cui non sa capacitarsi. E infatti Palazzolo non indugia su un tema delicato come l’omicidio o su possibili spiegazioni pseudo-psicologiche, ma fa sbocciare un mondo interiore, facendosi carico di un punto di vista senza avere la pretesa di insegnare, redarguire, giudicare; è un essenziale ri-velarsi, svelare ciò che è nascosto per un’urgenza intima e necessaria.
Letizia forever è un monologo di grande sensibilità e intelligenza, che si dipana dolcemente sul filo di una tensione minacciosa sempre in agguato, corroborato dalla delicata interpretazione di Nocera il quale – mai eccessivo o parodistico – dona invece profonda umanità a una storia che si rivela struggente nelle sue irrisolvibili contraddizioni.
E infine, chissà qual è questa realtà: per Letizia è una, per Salvatore un’altra, per il pubblico un’altra ancora. Eppure, da qualche parte esiste una realtà oggettiva in cui Letizia deve pur dare spiegazioni. E a quell’ultima domanda – Chi è Letizia? – lei non può far altro che alzare le spalle e far scivolare la fantasia lungo le note di un’ultima canzone. Forse domani, o dopodomani, risponderà.