Del sordo rumore delle dita_trascrizione – Clinica Mammut
Bussate allo specchio della vostra ombra e non abbiate timore di ciò vedrete: lì giace la vostra anima di uomo.
No, Alessandra Di Lernia e Salvo Lombardo non pronunciano mai queste parole, ma proprio questa è la voce che sembra sgorgare dal loro ultimo lavoro.
Per chi non conosce Clinica Mammut e il loro teatro “semiotico”, si potrebbe cominciare a parlare de Il sordo rumore delle dita partendo dai versi citati di Pasolini, dal teatro delle ombre, dall’eloquenza delle immagini, eppure forse è meglio non lasciarsi irretire da tutta la fitta trama di segni, espliciti o latenti, che compongono lo spettacolo (giacché privo di una narrazione), ma liberare semmai lo sguardo dal filtro della comprensione e consegnarlo alla visione. Già, perché di vedere si tratta.
Nella stretta sala Gassman il guardare si schianta subito contro un muro: sulla scena una parete scura costringe gli occhi degli spettatori ad osservare solo attraverso una finestra (disegno luci Valerio Modesti). Così, fin dal principio, il vincolo dell’ostacolo stimola a combatterlo, a cogliere in tutto ciò che apparirà oltre qualcosa di vinto e al contempo sopravvissuto perciò insopprimibile. È l’occhio sensibile sul mondo – su tutto ciò che è davvero «mondo» –: siano gli altri, il tempo, la storia, i pensieri o anche solo quel sordo rumore interiore che pulsa senza riuscire ad esrpimersi.
Torna ad aprirsi, così, lo squarcio sull’«al-di-là» che si era chiuso desolantemente nel precedente Il retro dei giorni; ma ora non sono più i dubbi sull’altrove a concretizzarsi sulla scena, stavolta ci ritroviamo dall’altra parte, senza più paure, esitazioni, parole, siamo nel retro del vuoto, in quella vita che azzittita ma non annientata si manifesta con l’umiltà onesta del gesto. Ecco allora che i versi di Pasolini giungono come cronaca di una preziosa fragilità che va riscoperta; le ombre come esposizione tragicomica e impietosa di una vana storia involontariamente collettiva; e le parole come armi deposte di una retorica che ha miseramente fallito la sua propulsione (notevole l’immagine dei fiori nelle bocche, rappacificazione con i nostri mortiferi cannoni umani).
Con estremo e seducente rigore formale (non distante dalla potenza immaginifica della Socìetas Raffaello Sanzio), Clinica Mammut rafforza l’incisività della propria ricerca teatrale raggiungendo un efficace equilibrio tra performatività, drammaturgia e scrittura scenica. Uno spettacolo che forse faticherà a raggiungere ogni tipo di pubblico, ma che intimamente si sobbarca di un dolore universale e riesce a guardare con coraggio al di là.
Del sordo rumore delle dita è un requiem illuminante che, deponendola, dichiara la vita.
Ascolto consigliato
Sala Gassman, Teatro dell’Orologio, Roma – 10 marzo 2015