Oh che bel castello marcondiro ndiro ndello,
oh che bel castello marcondiro ndiro ndà!
Ha tante sfumature Das Schloss, scritto e portato in scena dalla giovane regista Francesca Caprioli: è il castello del folklore, quello delle favole dei bambini (come ricorda la scultura rossa e infantile presente sul palco), è il castello delle illusioni che si sgretolano, e certamente è Il Castello di Kafka, quel non luogo irraggiungibile al centro dell’ultimo romanzo incompiuto dello scrittore praghese.
Una luce cupa e una scenografia essenziale soltanto due antichi mobili e un armadietto – ci portano subito nella storia di K., quando egli giunge nel villaggio sovrastato dal castello per lavorare come agrimensore. E quell’ombra ominosa subito si espande nell’atmosfera facendosi ostile, soprattuto nell’atteggiamento degli abitanti che sospettano del nuovo arrivato solo perché straniero. Sulla scena, i giovani attori (Gabriele Abis, Gabriele Anagni, Simone Borrelli, Laurence Mazzoni, Eleonora Pace, Paola Senatore, Flavio Francucci) declinano le interpretazioni dei diversi personaggi assumendo più ruoli ciascuno, e scrivendoli man mano sulla propria maglietta, come a rimarcare la difficoltà di affermare un’identità precisa.
Il percorso di K. ricorda a tratti quello fantastico e surreale di Alice in Wonderland: incontra personaggi che sono maschere esasperate, sopra le righe, grottesche. Così i due aiutanti di K., più d’intralcio che d’aiuto, o la giovane Frieda, il funzionaro Klamm, responsabile della venuta di K. e figura mai presente in scena, e così anche il sindaco che comunica l’errore burocratico sancendo l’ennesima deviazione al percorso iniziale; tutto in una spirale di continui imprevisti e incomprensioni che il protagonista si ritrova a dover fronteggiare semplicemente per poter svolgere la mansione per cui era stato chiamato.
Come nel romanzo, lo spettacolo procede per frammenti: le battute sono serrate, l’andamento ritmato e ansioso, il fallimento sempre dietro l’angolo; più K. sembra avvicinarsi al Castello e comprenderne finalmente i meccanismi, più questo diventa inafferrabile. Il groviglio progressivo di situazioni surreali porterà infine il protagonista al limite dell’esaurimento nervoso, in un crescendo di alienazione e senso di solitudine. La sua discesa agli inferi è interpretata molto intensamente da Flavio Francucci, che tra risate isteriche e disperate verrà fagocitato senza pietà da meccanismi burocratici, in una logica assurda, incomprensibile eppure inoppugnabile. Ma poi tutto si ferma, bruscamente.
Regina reginella quanti passi devo fare per arrivare al tuo castello?
K. non arriverà mai al castello, perché esso è una chimera, un’illusione che ci siamo costruiti, una realtà che ci sfugge dalle mani. K. sarà sempre l’estraneo, il diverso, quindi il nemico: e chi è il nemico nella nostra società? Come K., anche noi viviamo in un mondo senza logica dove succedono cose assurde, come dimostrano gli ultimi fatti di cronaca. Chi è il diverso, chi è che non ha il permesso di stare tra la nostra gente? E soprattutto: il diverso coincide col nemico? È davvero importante rifletterci, soprattutto in questi giorni, e Kafka, come lo spettacolo, ce lo ricordano con forza.
Teatro Due, Roma – 10 gennaio 2015