Dalla parte del talent(o)
Il talent show si chiama così perché ha come interesse il talento…appunto. Possibile che ci debba essere sempre chi critica in maniera distruttiva, senza mai proporre nulla di alternativo, una pura e sadica cattiva parola, sempre e comunque, anche se non si conosce quello di qui si parla?
Certo, se il talent poi è targato Maria De Filippi, tutto è giustificato, soprattutto perché i più, presi da una sorta di senso di inadeguatezza nel confessare che lo guardano e che gli piace pure, preferiscono darle addosso piuttosto che essere obiettivi e riconoscere il valore di questo programma.
Già, programma televisivo troppo spesso ci si dimentica che la televisione ha delle logiche precise e complicate che fungono da matrice per declinare i vari prodotti che essa racchiude. Le lacrime hanno un significato, i litigi un altro, le risate un altro ancora, e la cosa sbalorditiva è che a qualcuno può sembrare naturale, ad altri troppo artificiale: è la meravigliosa macchina televisiva delle emozioni che con estremo rigore produce discorso, anche lei sempre e comunque. Nulla è lasciato al caso, autori scrupolosi prevedono e scandiscono ogni momento, l’effetto: una macchina da guerra perfettamente oliata che non perde un colpo, forse qualche punto di share, ma assolutamente comprensibile con il frazionamento dai canali che il digitale ha apportato.
Il talento, per chi è presente in studio è tangibile, per chi lo segue da casa ipnotico, anche grazie alla sapiente regia di Pietrangeli. Pensare che ci sono giovani che tifano per quel cantante o quella ballerina, che hanno imparato i fondamenti della danza, disciplina data per sepolta, ora invece più viva che mai; che ci sono ragazzi che in questo momento di crisi della discografia comprano i cd facendo slittare ai primi posti delle classifiche i loro Amici; che hanno imparato a famigliarizzare con le opere liriche. Per me tutto questo è straordinario.
E non è solo un programma televisivo finito il quale tutti a casa, è un ufficio di collocamento, la maggior parte dei ragazzi, oggi, ha dei contratti lavorativi. Le cose sono un po’ cambiate, bisogna riconoscerlo, dopo Marco Carta che ha dichiaratamente evidenziato la portata di tale fenomeno, regalando al programma una credenziale indiscussa…sempre che ci sia qualcuno disposto ad ammetterlo.
Quest’anno due vincitori ad Amici, uno per il canto, Virgilio; uno per il ballo, Denny. Certo, non era giusto sacrificare la danza, perché si sa, la musica ha la capacità arrivare direttamente anche ai profani del settore, mentre il ballo necessita di una consapevolezza maggiore e la scelta di portare avanti due circuiti paralleli evidenzia come agli autori importi favorire il talento. Forse avrei separato i due momenti della proclamazione del vincitore, devo ammettere che la doppia vittoria in una serata sola non mi ha pienamente convito, ma se i tempi dati dalla rete al programma erano di nove puntate, probabilmente non si poteva fare diversamente.
Credo che non esista un canale adatto e uno non appropriato per dare risalto al talento, gli deve essere data la possibilità di emergere, in qualunque modo possibile, tanto alla fine solo il tempo ne dimostrerà il suo vero valore.
Perdonatemi, ma in tutto questo non riesco a vederci proprio nulla di male.