Da 5 Bloods
Spike Lee riflette sul ruolo della storia afroamericana nel conflitto del Vietnam
Il nuovo joint di Spike Lee si intitola Da 5 Bloods – Come fratelli e lo potete trovare in streaming su Netflix insieme a tanti altri lavori passati del regista. Tra i tanti quest’ultimo mantiene sempre la sua inconfondibile cifra stilistica con monologhi in camera, black groove e, da poco tempo a questa parte intermezzi, sempre più insistenti, su cenni storici afroamericani del passato più o meno recenti. Riconfermato l’intento autoriale del regista di portare avanti la sua personale battaglia artistica, e non solo, per l’uguaglianza dei diritti e la necessità di utilizzare il mezzo cinematografico per rendere il maggior numero di persone possibili a conoscenza dell’identità e la storia delle battaglie e conquiste della popolazione nera americana.
La trama è un continuo incrociarsi tra il passato e il presente. Abbiamo i 4 protagonisti, all’epoca giovani soldati neri americani della guerra del Vietnam e ora arzilli veterani con i loro anni alle spalle e una loro ultima missione da compiere nella giungla per chiudere qualche conto aperto con il proprio passato. Quello che però Spike Lee tenta con questo film è anche l’inserimento invadente, nel senso dichiarato, del ruolo della storia afroamericana nel conflitto del Vietnam: una riscrittura o meglio un tentativo di raccontare quegli eventi e quelle persone dando voce alla porzione nera della popolazione che ne prese parte. Un punto di vista sempre trascurato e ingiustamente poco ampliato nella storia recente se non con il ricordo delle parole di grandi uomini come Mohamed Alì o Malcolm X. All’epoca la popolazione americana poteva contare su un 11% di colore di cui arruolati nella guerra del Vietnam ve ne erano un buon 30%.
Un continuo cambio di frame rate e fotografia, dal 16:9 in hd al 4:3 dal sapore di altri tempi, ci contestualizza storicamente chi quando e dove. Molti intermezzi di immagini e video di repertorio interrompono spesso la narrazione per contestualizzare storicamente gli episodi mostrati. Sono palesi le numerose questioni aperte che scottano ancora nel passato americano e afroamericano, come le condizioni dei soldati neri, spesso trattati come carne da macello e la miriade di veterani mutilati nel corpo e nello spirito e al ritorno dimenticati. Un discorso sul colonialismo tutto, che parte dal padre fondatore George Washington e i suoi 123 schiavi per poi parlare dell’occupazione francese e poi americana del Vietnam, mettendo in luce le ingiustizie dei popoli oppressi e soggiogati da una schiavitù fisica e economica che negli anni porta con sé conseguenze e problematiche che non sono solo le mine antiuomo ancora oggi nascoste nel sottosuolo. E infine i personaggi chi più chi meno caratterizzati tra afroamericani vietnamiti e francesi di prima o seconda generazione, in rapporto alle questioni sopracitate che si palesano nella storia con convinzioni e dibattiti ma danno l’impressione di essere nani sulle spalle di giganti che rappresentano i grandi temi che Spike Lee intendeva affrontare.
È un film che brulica di contenuti altissimi e giustificati se si vuole vedere l’esigenza personale e storica che è a cuore dell’autore da sempre. Soprattutto visti anche gli ultimi grandiosi passi avanti che sembra stia facendo il movimento Black Lives Matters, ma, tutto sembra avere un prezzo e in questo film i contenuti schiacciano la forma, che pur avendo molto tempo a disposizione per esprimersi si risolve a volte, direi il più delle volte, in modo semplicistico e quasi grottesco. Spike Lee ha sempre fatto di testa sua e questo lo rende un autore riconoscibile da un unico fotogramma di qualsiasi suo film, ma in questo caso la confusione di un primo sguardo è caratterizzato dallo sconforto per certe scelte su come evolve o si risolve la trama che spiazza e lascia lo spettatore pieno di nozioni storiche ma privo di un reale trasporto per gli interpreti e il loro obbiettivo. Forse Spike ci ha visto lungo e segue un’onda giusta, ma in questo film l’unica buona che ha preso e che prende sempre è la difesa della causa che lui e molti altri hanno a cuore.