Cuori puri è l’opera prima di Roberto De Paolis, presente al Festival di Cannes appena conclusosi, nella speciale selezione Quinzaine des Réalisateurs. A ragione si è guardato da subito con molto interesse a questo film, le cui recensioni sono state più che positive e quasi tutte concordi nel segnalare De Paolis come uno dei giovani registi italiani più promettenti. Immediatamente riconducibile al contemporaneo e forse ancora troppo sottovalutato filone del nostro cinema che si sta caratterizzando attorno a trame sull’età giovanile e i suoi possibili disagi e contrasti, ambientati soprattutto nella periferia, Cuori puri, per affinità tematiche, entra in dialogo, per così dire, soprattutto con il recente Fiore di Claudio Giovannesi e con Corpo celeste del 2011 di Alice Rohrwacher (anch’essa all’epoca promettente esordio a Cannes, promesse peraltro poi confermata).
Protagonisti del film sono, infatti, Agnese e Stefano, due giovani alle prese con delle problematiche derivanti ciascuna dalla particolare realtà socio-familiare cui essi appartengono. Agnese frequenta “Cuori puri” – da qui il titolo del film – un gruppo, effettivamente esistente, di ragazzi cattolici che fa della castità prima del matrimonio uno dei valori fondamentali in relazione all’amore. Alla soglia dei diciotto anni, Agnese inizia a percepire con una certa pensosa e taciturna inquietudine l’adesione a tale valore, soprattutto quando a ciò si aggiunge l’oppressiva spinta e il più che ansioso controllo della madre. Stefano, invece, interpretato da un convincente Simone Liberati, è un ragazzo pressoché solo, con difficoltà lavorative e familiari nei confronti delle quali reagisce con un’aggressività frutto di una malcelata solitudine.
Già nella prima scena del film irrompe il loro incontro, come a dichiarare l’inevitabilità di una loro storia d’amore. Nonostante il loro crescente rapporto affettivo, tuttavia, entrambi i giovani tacciono l’uno all’altro le loro difficoltà e i loro pensieri, non per pudore o vergogna ma semplicemente per andare a intuirli silenziosamente, con una reciprocità di comprensione spontanea e istintiva. I risvolti della pervasività religiosa in cui Agnese è cresciuta e i risvolti dettati dalla perdita del lavoro di Stefano, se in un primo momento, nell’economia della trama, sembrano essere i canonici ostacoli al loro amore, alla fine si rivelano essere il racconto delle loro rispettive vite: l’ostacolo racconta la vita, testimonia con quale forza e con quale durezza certi modi di far vivere il religioso, il lavoro, la famiglia, la periferia vadano a colpire la speciale purezza di sentimenti e desideri innocenti.
È in questo senso allora che Cuori puri porta in scena una storia d’amore tanto attuale quanto sincera. L’amore tra Agnese e Stefano non è un amore dove entrambi vogliono rifugiarsi, né è un amore che vive in vista di una risoluzione vittoriosa sugli ostacoli o sui problemi che li allontanano. Nessuno dei due cerca l’altro per sfuggire alla propria quotidianità, per sperimentare qualcosa di diverso; entrambi si cercano per l’inevitabilità senza ragione del sentimento che li ha avvicinati.
Era difficile, dati i presupposti sui quali si regge la dinamica della trama (il campo rom che confina con il parcheggio dove lavora Stefano, la religiosità della madre di Agnese, la periferia e il costante pericolo della criminalità), evitare derive moralistiche e narrare una storia d’amore dai tratti edificanti. Eppure De Paolis vi è riuscito, raccontando un amore e un sentimento tra due persone che lo hanno semplicemente riconosciuto e fatto respirare nelle loro vite: l’ultima scena, a conferma di ciò, tiene uniti i due ragazzi, pur ancora in lotta con i rispettivi fantasmi e problemi.