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Cronache dal lido #5 – Venezia76

Esiste un cineasta che con la sua opera ha segnato il tempo della storia (del cinema, ma non solo) perché quel  tempo ha sempre cercato di “scolpire” attraverso il suo cinema. Andrey Tarkovsky ancora oggi parla attraverso il mistero eloquente dei suoi film e delle sue numerose riflessioni. E’ attingendo dal vastissimo repertorio di dichiarazioni e interviste rilasciate dal maestro russo che suo figlio Andrej Andreyevic ha costruito Andrey Tarkovsky. A Cinema Prayer, un omaggio al padre che si racconta con la sua stessa voce. In un percorso lineare che si snoda dall’esordio di Il rullo compressore e il violino fino all’ultimo film Sacrificio, il documentario, presentato a Venezia nella sezione Venezia Classici, rivela ancora una volta l’accecante luminosità di un cineasta che è stato uno straordinario “esegeta” del sensibile proiettato costantemente verso il sacro. Un uomo per cui il cinema, come ogni atto generatore di bellezza, poteva essere soltanto dono e smisurata preghiera. (Stefano Lorusso)

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Il secondo lungometraggio dello spagnolo Théo Court è un brillante saggio sulla fotografia, in senso estetico ed etico. Nella storia di un fotografo di inizio ‘900 sembra di scorgere le riflessioni che Susan Sontag espone nel suo Davanti al dolore degli altri. Il gesto artistico di Pedro (Alfredo Castro, attore feticcio di Larraín), arrivato nella Terra del Fuoco per ritrarre la futura sposa-bambina del proprietario terriero Mr. Porter, testimonia lo sterminio del popolo Selknam, preda delle battute di caccia dei nuovi arrivati, insediatisi in quei luoghi ostili e decisi a schiavizzare gli indiani locali. E allora ecco che la manipolazione del soggetto che entra nell’inquadratura viene percepita come una violazione, una violenza, e poco importa che si tratti di una giovanissima ragazzina o di cadaveri inermi, con un chiaro riferimento alla messa in scena della morte operata dai primi fotografi americani, come Mathew Brady, testimoni della Guerra di secessione. Blanco en blanco è un film di composizioni visive, di quadri, di tableau vivant sul ruolo della rappresentazione fotografica nella Storia. (Giulia Bona)

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Europa dell’Est, Seconda Guerra Mondiale. Un bambino di famiglia ebraica, dopo la morte improvvisa della donna che si prende cura di lui e l’incendio della casa in cui vive, inizia un viaggio dentro il “male assoluto”  che lo cambierà per sempre. Solo e sempre più disperato, il piccolo protagonista del film (Petr Kotlar) conoscerà nel suo itinerario ogni tipo di atrocità e abominio. Ogni personaggio incrociato lungo il suo percorso (una sorte di via dolorosa con più di un rimando cristologico) sembra portatore di un germe di morte, segno del male più grande che in quegli anni attraversa la Storia. In un accumularsi di efferatezze, The Painted Bird mette a durissima prova la resistenza psicologica dello spettatore, suscitando più di un dubbio sul senso complessivo di questo adattamento, tratto da un fortunato romanzo del polacco Jerzy Kosinski. Non bastano l’elegante fotografia e alcune partecipazioni d’eccezione (Harvey Keitel e Udo Kier su tutti) a salvare un’opera difficile da comprendere e giustificare, nella sua fluviale (quasi 3 ore di durata) e autocompiaciuta crudeltà. (Stefano Lorusso)

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Inquadrature fisse, differenti scene con attori immobili o impegnati a eseguire movimenti lentissimi, dialoghi essenziali eppure carichi di un umorismo che riesce, senza forzature, a impregnarsi di una nostalgica tristezza caratterizzano il film con cui Roy Andersson torna in concorso a Venezia dopo il Leone d’oro, ottenuto nel 2014, con Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza. Per chi abbia familiarità con la filmografia di Andersson tutti questi elementi non possono sorprendere, sono la cifra del regista svedese. Non può smettere invece di costituirsi come elemento di sorpresa la forza di riflessione sulla vita che Andersson fa emergere in tutta la sua grandezza. Le varie scene di About Endlessness, slegate tra di loro, e i loro diversi protagonisti (per riportarne solo alcuni, si va da un prete che ha perso la fede a un ragazzino che studia i principi della termodinamica sino a un esercito del passato che, sconfitto, marcia verso il campo di prigionia) concorrono a descrivere, in maniera straordinariamente poetica e efficace, frammenti di vita che, nella loro condizione di semplicità, tristezza, divertimento o rovina, rimangono per sempre infiniti nel loro pathos e nella loro profondità. (Giulia Angonese)

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