Cronache dal lido #5 – Venezia 75
The Sisters Brothers – Jacques Audiard
Jacques Audiard si presenta al Festival di Venezia al debutto con un film in lingua inglese e alla prese con il genere western. John C. Reilly, co-produttore e co-protagonista di The Sisters Brothers, dopo aver comprato i diritti dell’omonimo libro di Patrick DeWitt, ha pensato al regista francese per lavorare all’adattamento cinematografico del romanzo e, come si dice in certi casi, mai scelta fu più azzeccata. Ambientato nella seconda metà del 1800, tra Oregon e California, il film racconta la storia dei due fratelli Eli e Charlie Sisters, interpretati rispettivamente da John C. Reilly e Joaquin Phoenix, che, al soldo del Commodoro, devono trovare, torturare e uccidere Warm (Riz Ahmed), uomo dai modi gentili, in possesso di una formula chimica segreta in grado di permettere di trovare l’oro senza attrezzature. Warm deve essere consegnato ai fratelli da Morris, interpretato da Jake Gyllenhaal, da tempo sulle sue tracce. Audiard riesce a sfruttare magistralmente il notevole cast a sua disposizione, valorizzando ogni singolo protagonista. Proprio le importanti perfomance dei quattro protagonisti fanno sì che The Sisters Brother non sia un semplice western. Pur mantenendo intatta la grinta tipica del genere il film si muove in perfetto equilibrio tra commedia, nostalgia e riflessioni su fratellanza e nuovi valori economici. Ancora una volta Audiard si conferma come uno dei massimi registi contemporanei.
Giulia Angonese
What you gonna do when the world’s on Fire? – Roberto Minervini
New Orleans, 2017. Judy é una donna dal difficile passato, obbligata a chiudere il suo ristorante per difficoltà economiche. Ronaldo e Titus sono due giovanissimi fratelli costretti a crescere senza padre, in carcere per reati di delinquenza comune. A Jackson il partito delle Nuove Pantere Nere per L’autodifesa manifesta per chiedere giustizia dopo l’omicidio di Alton Sterling per mano di due poliziotti bianchi. É il ritratto luttuoso di un Sogno Americano andato in frantumi quello che Roberto Minervini, Classe 1970, marchigiano di nascita ma texano d’adozione, al suo quinto lungometraggio porta in concorso a Venezia. Citando nel titolo uno Spiritual inciso, tra gli altri, da Leadbelly, Minervini in quella che è sicuramente la sua opera più politica, affonda lo sguardo nel nucleo profondo delle disuguaglianze razziali che ancora caratterizzano la società americana. In un bianco e nero che desatura il film da qualsiasi compiacimento estetico o formale, per lasciare spazio al nudo racconto in presa diretta di chi, nonostante tutto, non è stanco di lottare per i propri diritti.
Stefano Lorusso
La Quietud – Pablo Trapero
“La Quietud” è il nome dell’esteso e lussuoso ranch in cui Mia (Martina Gusman) e Eugenia (Berenice Bejo) si ritrovano insieme alla madre (Graciela Borges) per affrontare la grave malattie del padre oramai anziano. Un luogo felice della loro infanzia ora teatro delle tensioni irrisolte, campo di battaglia di una famiglia benestante con a capo una madre ostile con le figlie e invidiosa del moribondo marito. Il lutto si addice ad Elettra? L’unica attrazione di una storia pretestuosa e mal sviluppata è l’erotismo che emanano le due focose sorelle. Giocano tra di loro come due bambine maliziose incuriosite dal mondo sesso, fanno l’amore con uomini completamente servili a loro e come John Lennon con Yoko Ono nella celebre copertina del Rolling Stone artigliano e serrano chiuse in una posizione fetale. Il lavoro di Pablo Trapero è lontano da quanto fatto da lui finora. Il regista sbaglia completamente il tono della pellicola e quello che sarebbe potuto essere un’avvelenata rassegna sulla borghesia argentina vicina al cinema di Claude Chabrol si scopre essere un melodramma convenzionale che raramente funziona.
Toni Cazzato
Amanda – Mikhaël Hers
Gli echi del terrorismo risuonano ancora nella Parigi odierna di Mikhaël Hers e del suo Amanda, presentato nella sezione Orizzonti del 75. Festival del Cinema di Venezia. Una giovane madre single viene uccisa durante un picnic e al fratello ventiquattrenne David (Vincent Lacoste) viene affidata la cura della piccola Amanda (Isaure Multirer). La loro duplice odissea sarà l’elaborazione del lutto e la ricostruzione della loro nuova vita. David verrà aiutato da Léna (Stacy Martin), a cui si lega affettivamente. Una parabola efficace nell’evidenziare una paura non ancora sopita, ma anche l’incredibile forza di volontà di una famiglia distrutta ad andare avanti, simbolo di una nazione determinata a medicare le proprie ferite. Da lodare l’ottimo lavorio sui personaggi compiuto dallo sceneggiatore/regista, che si concede il tempo (forse persino eccessivo) per delineare i rapporti familiari prima e dopo la perdita. Il sorriso in lacrime sul volto di Amanda nella sequenza finale comunica lo stato d’animo contraddittorio causato da una cicatrice che non si rimargina.
Marco Ceriotti