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Cronache dal lido #4

Mona Lisa and the Blood Moon (Ana Lily Amirpour, Concorso)

A New Orleans, durante una notte di luna piena, una ragazza dai tratti orientali (Jeon Jong-seo) dotata di particolari poteri paranormali fugge dalla cella di isolamento in cui è rinchiusa. Ad attenderla il variegato microcosmo di una città notturna popolata da spogliarelliste, spacciatori e streghe vudù. Al suo terzo lungometraggio, dopo A girl walks home alone at night (2014) e The Bad Batch (2014), la regista Amirpour torna in concorso a Venezia con una travolgente favola metropolitana di grande impatto visivo e musicale, sostenuta dalla adrenalinica colonna sonora Techno e Heavy Metal curata da Daniel Luppi. Una prova convincente che conferma tutto il talento di una tra le figure più interessanti del panorama cinematografico internazionale contemporaneo. (Stefano Lorusso)

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La caja (Lorenzo Vigas, Concorso)

Lungo i desolati scenari del Messico del Nord, un ragazzino (Hatzin Navarrete) è in viaggio, da solo, per recuperare i resti del padre rinvenuti in una fossa comune. L’incontro casuale con un misterioso trafficante di manodopera gli offrirà una inattesa, forse pericolosa, nuova vita. A distanza di 6 anni dal sorprendente trionfo veneziano con Desde allà, Leone d’Oro nel 2015, il venezuelano Lorenzo Vigas torna in concorso a Venezia con il nuovo capitolo di una ideale trilogia dedicata alla rappresentazione delle figure paterne in America Latina, inaugurata nel 2004 dal corto Los elefantes nunca olvidan. Il percorso del giovane protagonista, perfetto nella sua interpretazione trattenuta e sommessa, è raccontato però con un minimalismo eccessivo, che puntando tutto sulla sottrazione rischia di smarrire anche la necessaria empatia. (Stefano Lorusso)

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L’événement (Audrey Diwan, Concorso)

 Tratto dall’omonimo romanzo di Annie Ernaux, L’événement racconta con un’intensità quasi asfissiante il dramma della giovane studentessa di lettere Anne (Anamaria Vartolomei). Rimasta incinta dopo un rapporto occasionale, Anne sa che, da madre, dovrà dire addio a studi e carriera come insegnante, addio a una certa leggerezza di vita e alla fiducia dei genitori. Tra paura e determinazione, la ragazza decide, senza parlarne con nessuno, di abortire. Ma nella Francia del 1963 la parola aborto non si poteva pronunciare, anzi nemmeno pensare. La regista Audrey Diwan opta per un’economia quasi estrema di questo contesto storico-sociale (en passant si parla di Sartre e sono pochi gli altri riferimenti culturali) e, aiutata dalla prova magistrale della Vartolomei, sceglie di mettere lo spettatore di fronte all’assoluta solitudine e al crudo dolore fisico che l’aborto clandestino comporta. Un film che lascia il segno. (Giulia Angonese)

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