Cronache dal Lido #3 – Venezia 75
The Ballad of Buster Scruggs – Ethan Coen e Joel Coen
Sei racconti come sei sono le pallottole di un Revolver: tutte vanno a segno con giustizia colpendo gli organi vitali e non le budella. The Ballad of Buster Scruggs di Ethan Coen e Joel Coen, in concorso nella selezione ufficiale, è una versione nei territori cimentosi e terrosi dell’ovest degli Stati Uniti d’America dei Racconti di Hoffman di Powell & Pressburger (momenti musicali compresi) dove la parola è letale quanto un Winchester ben oliato.
I registi illustrano il Far West con rapidi e decisi tocchi mostrando un riverenza nei confronti dei canoni del Western cinematografici e letterari. Dai duelli da pulp magazine tra cowboy vestiti con colori speculari (il bianco e il nero), si spazia nelle derive dello spaghetti western italiano con tanto di anti eroe tenebroso e impiccagioni, in vicende lugubri e desolate come lo erano i film muti con Lon Chaney, nella frontiera solitaria e avventurosa che richiama Il tesoro della Sierra Madre di John Huston e il cinema di Anthony Mann e poi ancora in episodi a struttura teatrale e toni da ghost story.
Sempre nel mezzo tra la celebrazione del mito e la farsa, quando per i Coen scrivere ottimi dialoghi è facile come sparare a degli uccelli in gabbia, l’unico rischio è la ridondanza. Nessuna sorpresa, ma solo certezze. In bene e in male.
Toni Cazzato
A Star Is Born – Bradley Cooper
Presentato fuori concorso, A Star Is Born è sicuramente uno dei film più attesi dal pubblico di questa edizione della Mostra del Cinema. Come già prevedibile dal trailer, il lungometraggio diretto ed interpretato da Bradley Cooper non può tuttavia dirsi veramente riuscito, anche e soprattutto se paragonato alle precedenti versioni dello script prodotte nel corso del Novecento. Questo nuovo remake si propone fin da subito come una storia estremamente attuale e massicciamente pop, che rispetta le linee guida della narrazione classica ma la ripropone alla luce di un romanticismo tipico delle dramedy rosa del nuovo millennio.
La storia, meno coinvolgente rispetto al passato, perde la propria carica emotiva, risultando incapace di coinvolgere veramente gli spettatori. Alcune modalità adottate per raccontare l’industria musicale sono poi eccessivamente ovattate, tanto da apparire quasi ipocrite, soprattutto alla luce della presenza divistica di Lady Gaga. La colonna sonora, pur essendo indubbiamente ben pensata ed orecchiabile, non poggia su testi veramente profondi o arrangiamenti particolari, limitandosi a proporre canzoni facilmente commerciabili e adatte alla radio. Parallelamente, alcune note positive possono essere rintracciate nella messa in scena e nel cast: se nel primo caso Bradley Cooper in versione regista è capace di creare inquadrature interessanti e una coerenza tematico-contenutistica, nel secondo Lady Gaga non è così terribile come lasciavano presagire le poche immagini fino ad ora trapelate, apparendo inaspettatamente convincente. Senza infamia ma sicuramente dimenticabile, A Star Is Born è dunque un film capace di intrattenere, senza riuscire ad emulare la cura e l’estetica dei suoi predecessori.
Gabriele Landrini
The Other Side of the Wind – Orson Welles
Analogamente a quelle rare occasioni in cui uno spartito inedito di Mozart viene rinvenuto, l’entusiasmo e la curiosità imperavano alla prima proiezione di The Other Side of the Wind. La pellicola, prospettata come il testamento artistico di un leggendario cineasta quale Orson Welles è stato, ha visto oggi la luce dopo una post-produzione durata quarant’anni. L’opera, realizzata tra il 1970 e il 1976, annoverò più di cento ore di girato e a seguito di problemi produttivi fu definitivamente abbandonata.
In sala l’emozione abbondava all’idea di visionare l’inedito, purtroppo smorzata molto presto. La vena sperimentalista e visionaria dell’opera unita alla molteplicità dei livelli narrativi presentativi rende il risultato estremamente confuso e incostante. L’odissea di un regista e la realizzazione del suo ultimo film vengono tradotte in una delirante alternanza di soluzioni visive, aspect ratio diversi e discontinuità molteplici. Netflix si è fatta carico di ultimare il film affidando la “direzione artistica” del recupero a Peter Bogdanovich, rinnovando la sua larga presenza di quest’anno al lido.
Antonio Abbate
The Great Buster: A Celebration – Peter Bogdanovich
Un uomo in grado di lanciarsi in qualsivoglia acrobazia, senza controfigura, cadendo, rotolando in modo naturale e con un tempo comico perfetto. Uscirne indenne e provocare un’ilarità nel pubblico, unica ed inimitabile. Un uomo soprannominato “the stone face”, faccia impassibile, ma dallo sguardo cosi espressivo da riuscire a descrivere un bouquet infinito di stati d’animo chiari e limpidi, diretti al cuore del pubblico. Un artista, cresciuto con il muto, in grado di inventare situazioni comiche esilaranti uniche ed universali, senza tempo e senza età. Tutto questo e molto di più è Buster Keaton. Ragazzo prodigio che iniziò a calcare i palcoscenici del vaudeville già in tenera età. Un soprannome “Buster” (in italiano capitombolo), datogli a quanto pare da Houdini in persona.
Diretto da Peter Bogdanovich il documentario The Great Buster: A Celebration ci mostra in maniera chiara e lineare tutti gli aspetti della vita privata e della carriera di un mostro sacro della storia del cinema. Tramite interviste, immagini di repertorio e sequenze scelte dai suoi innumerevoli cortometraggi e lungometraggi si palesa ai nostri occhi una panoramica biografica di questo immenso attore e regista. Una montagna russa fatta di alti e bassi, composta da momenti esilaranti a conferma di un genio unico nel suo genere e da momenti cupi, più personali e introspettivi.
Un uomo dalla fama planetaria, che rimase sempre umile e con il solo obbiettivo di regalare una risata al prossimo. Un uomo che combatte contro i propri demoni e con il mondo che gli cambiava attorno. Una graduale mancanza di autonomia e libertà, diventando sempre più dipendente dall’industria prepotente delle grandi case di produzione hollywoodiane. Un uomo schiacciato dal suo tempo, ma che era destinato all’immortalità cambiando con il suo passaggio tutto il futuro del cinema stesso. Un’inconsapevolezza di questo, di un uomo umile, in lacrime dalla commozione, come dimostra il premio impartitogli a Venezia nel 1964 che registrò la più lunga standing ovation della storia della manifestazione e una piacevole scoperta di Buster stesso, sorpreso che le sue gesta immortali continuavano e continuano a far ridere il mondo.
Alberto Morbelli