Cronache dal Lido #2 Venezia 79
The Whale (Concorso)
Riparte da una personale rilettura di Herman Melville il talento visionario di Darren Aronofsky, che torna a Venezia a cinque anni di distanza dal controverso Madre! (2017), con un dramma da camera tutto costruito intorno ad un corpo, deformato dalla obesità e da una mostruosità indicibile. Il corpo è quello di un grande Brendan Fraser, capace di regalare una interpretazione intensa e credibile, in cui l’attore sembra aver riversato una parte consistente del suo difficile vissuto personale degli ultimi anni. Il film, oggetto inclassificabile e di certo non privo di limiti ed eccessi, è l’ennesimo tassello da collocare dentro il corpus di un autore complesso e sfuggente, in grado di alternare esiti irricevibili a prove cariche di struggente empatia. Siamo dalle parti the The Wrestler (2008), altro ritratto di un animale colpito ma non affondato, ma questa volta dentro una produzione che le limitazioni dell’epoca covid hanno reso molto più intima e raccolta, nella trasposizione sullo schermo del testo teatrale scritto da Samuel D. Hunter. Nel bene e nel male un titolo ingombrante all’interno del concorso veneziano, da tenere d’occhio in ottica premi. In Laguna e non solo. (Stefano Lorusso)
The Banshees of Inisherin (Concorso)
Alcuni anni fa lo si sarebbe definito “un film di attori” quello che Martin McDonagh, commediografo (prima che cineasta) nato a Londra nel 1970 da genitori irlandesi, regala al concorso veneziano. E due grandi attori, non nuovi alla macchina da presa di McDonagh, sono Colin Farrell e Brendan Gleeson, capaci di reggere quasi da soli il peso di tutto il film, sostenuti da comprimari di grande livello come Kerry Condon e Barry Keoghan. La storia è quella di una amicizia alla fine (del mondo), in cui gli splendidi e desolati paesaggi irlandesi sono la perfetta quinta naturale su cui McDonagh, con un eccellente lavoro di scrittura, proietta i demoni e le ombre di una cultura che per retaggio familiare conosce bene. Meritevole di menzione è anche la grande colonna sonora scritta da Carter Burwell, delicato tratto di pennello su un film che è un toccante omaggio alla tradizione umanista irlandese. Denso e profondo, ma anche capace di strappare molti sorrisi, nel segno di quel peculiare tono, a metà strada tra la tragedia e la farsa, che nel cinema di McDonagh abbiamo già conosciuto e amato. (Stefano Lorusso)
Don’t Worry Darling (Fuori Concorso)
Don’t worry Darling arriva fuori concorso alla Mostra, portando con sé il chiacchiericcio di una presunta guerra fredda tra la regista Olivia Wilde e la protagonista Florence Pugh, assente alla conferenza stampa e da mesi restia a promuovere la pellicola. Pettegolezzi e ricostruzioni alle quali Wilde non ha prestato il fianco, presentando il suo film come riflessione sull’abuso di potere e sul controllo dei corpi. I protagonisti Alice (Florence Pugh) e Jack (Harry Styles) vivono a Victory, città aziendale degli anni ’50, dove tutto funziona perfettamente, in assoluta sincronia. Gli uomini escono di casa tutti alla stessa ora per dirigersi nella sede della società fondata da Frank (Chris Pine), una specie di guru/life coach motivazionale. Le donne rimangono invece nelle loro belle dimore, a rassettare e cucinare, pronte ad accogliere la sera i loro compagni: esemplari e appagate custodi del focolare domestico, non devono fare domande sulla giornata lavorativa dei mariti; ciò che accade alla Victory è top secret. Una comunità idilliaca, talmente perfetta da apparire artefatta. Dopo sinistre visioni e ricordi improvvisi di un’altra vita, Alice capisce che qualcosa non va e indaga su Frank e la sua azienda. Thriller distopico, con un’ambientazione che ricorda Mad Men e The Truman Show, Don’t Worry Darling offre una ricostruzione graffiante degli anni ’50, trionfo dell’american dream di stampo conservatore. Il film è coinvolgente, anche se, in alcuni momenti cruciali, procede troppo spedito, mancando l’appuntamento con l’effetto sorpresa per le inquietanti rivelazioni alle quali si assiste. Olivia Wilde, al suo secondo lungometraggio dopo La rivincita delle sfigate (2019), si conferma regista dagli spunti interessanti, in grado di creare un’atmosfera. Pugh, con la sua interpretazione trascinante, oscura il partner di scena Harry Styles. (Giulia Angonese)