Cronache dal Lido #1
La Mostra del Cinema di Venezia, giorno per giorno, raccontata dai nostri inviati
Quando suona la sveglia, alle 6:45 di questo mercoledì 30 agosto 2017, il mio cervello riesce a formulare ben due pensieri distinti: il primo è un grugnito, il secondo è “Figata, oggi comincia la Mostra del Cinema”. Arrivo al Lido carico delle migliori aspettative (mi sono pure vestito bene, metti che mi nota qualcuno): finalmente posso farmi dieci giorni di cinema e pizza, che sono le due cose più belle al mondo. Ben presto, mio malgrado, mi tocca scontrarmi con l’atroce verità: quest’anno la pizza non c’è. Questa proprio non ci voleva.
Mentre passeggio sulla pavimentazione nuova di pallino alla ricerca del Casinò, dove potrò ritirare il mio accredito con cui farmi un selfie per far rosicare gli amici, mi rendo conto che tornare al Lido è come rivedere un vecchio amico partito per l’erasmus un anno fa. I giorni scorsi avevo un friccico ner core, ma ora che sono qui ho come l’impressione che questi undici mesi e mezzo quasi non siano passati.
Cose che ricordavo fin troppo bene: la temperatura amazzonica del Lido, la temperatura polare della Palabiennale, il bip della macchinetta che valida i biglietti (e che entro il terzo giorno mi avrà già mandato ai matti, lo so per certo).
Cose che non ricordavo per niente: il piacere di vedere un film senza che nessuno me ne abbia mai parlato prima, il piacere di vedere un film senza venti minuti di réclame, il piacere di rendersi conto di quanti cazzo di film ci siano da vedere. Nel momento in cui realizzo che non riuscirò mai a vederli tutti, l’angoscia di essermi già perso qualcosa di importante inizia a divorarmi dentro. Giuro che domattina metto la sveglia alle 6.
Decido di cominciare dal film d’apertura, l’anno scorso ha portato bene.
Mentre mi metto in coda, due signore con un forte accento romano escono dalla Sala Giardino.
– “A me è piaciuto un botto.”
– “A me ha fatto cacare.”
Rifletto che questo, in fondo, è lo spirito vero della Mostra del Cinema: un film ti piace o non ti piace per davvero, non perché te l’ha detto tuo cugino o Gianni Canova quando t’è apparso in sogno.
Downsizing – Alexander Payne
Downsizing, la storia della scoperta di una tecnica di rimpicciolimento applicabile anche agli esseri umani, è una sorta di commedia fantascientifica molto più arguta di quanto voglia dare a credere, in cui Alexander Payne sembra voler fare ancora una volta il punto sulla società americana contemporanea. Un luogo squallido, dove l’unico modo per avere una villetta con giardino è quello di farsi piccoli fino quasi a scomparire, con un evidente vantaggio economico: i vostri risparmi di una vita, nel mini-villaggio di Leisureland, avranno un potere d’acquisto incredibile; la carne peserà molto meno sul bilancio familiare e potrete persino regalare a vostra moglie una mini-parure di mini-diamanti per la modica cifra di ottantaquattro dollari. Forse sono soprattutto Christoph Waltz e Hong Chau, attori non protagonisti, a catturare l’attenzione. Con essi Payne riesce ad assestare con maestria un sorriso e una lacrima che mi fanno uscire dalla sala con gli occhi leggermente lucidi e con la sensazione di avere imparato qualcosa in più su questo atroce, ma bellissimo, pianeta Terra.
The Devil and Father Amorth – William Friedkin
Il punto di forza de L’esorcista (1973) è il realismo nella rappresentazione del rito cattolico dell’esorcismo e a conferma di tale pensiero sono le parole di Padre Gabriele Amorth, esorcista nella diocesi di Roma dal 1986 e al centro del documentario The Devil and Father Amorth : “E’ il mio film preferito ma forse si è esagerato con gli effetti speciali”.
E’ stato un fatto reale accaduto nel 1949 a portare William Friedkin a filmare la sua pellicola più celebre e un altro più recente a convincerlo a narrare nuovamente un mondo senza luce e pieno di malvagità, quello di Cristina che afflitta da un male spirituale sostiene di essere posseduta dal diavolo, e che soltanto l’incontro con il vivace esorcista 91enne possa guarirla.
Inizialmente la visione del regista è laica tanto da farci intendere che forse Cristina è fragile come tutti gli uomini e che il problema è il non trovare nessuno quando se ne ha un disperato bisogno ma una volta diventata testimone dell’operato da Padre Amorth, non può che accettare il limite della razionalità.
Le immagini dal vero dell’esorcismo hanno una tensione emotiva insostenibile che avvolge lo spettatore con violenza: la povera Cristina delira per oltre 25 minuti con voce gutturale e distorta tra spasmi, urla ed espressione del volto alterate fino ad essere una maschera macabra mentre l’uomo di chiesa lotta con il demonio che è dentro di lei. La speranza? Che nell’universo esista una dimensione più profonda e che dove ci sono i diavoli ci debbano essere anche gli angeli.
Nico, 1988 – Susanna Nicchiarelli
La sezione Orizzonti della 74ª Mostra del cinema di Venezia si apre all’insegna di un racconto che va oltre un’icona. Infatti, Nico, 1988, firmato dalla regista italiana Susanna Nicchiarelli, racconta non tanto Nico, ma la donna dietro Nico, nome d’arte di Christa Päffgen. Cantante e modella, Christa è nota soprattutto per la sua collaborazione con i Velvet Underground. Ma la Nicchiarelli sceglie di mostrare una prospettiva diversa e, forse, meno nota, ovvero la carriera da solista di Nico-Christa e in particolare gli ultimi anni della sua vita. Anni di tenebre e dipendenza, ma anche di rinascita e di un rinnovato rapporto con il figlio da sempre trascurato. Nico, 1988 è un viaggio in solitaria dentro gli abissi di una mente tanto geniale quanto controversa, un viaggio a cui si addicono perfettamente le parole della poesia di Wordsworth The Prelude: «Voyaging through strange seas of Thought, alone». E dalla stessa, la cantante trasse ispirazione per il titolo del suo disco The Marble Index. Wordsworth viene anche citato nel film in una scena emblematica che racchiude il senso della storia: la protagonista, ormai vicina alla morte, si interroga su un passo di The Prelude, che non comprende fino in fondo, ma sa che è stato scritto per lei. Questo, credo, è il nuovo orizzonte che ha voluto scrutare la regista: l’importante non è capire fino in fondo una poesia, ma lasciarsi affascinare da essa; è continuare a indagare la donna che si cela dietro l’icona.