Scrivere sul disco di debutto di David Lynch è un’impresa ardua. Ve lo assicuro. Come approcciarsi all’album di uno dei registi più geniali ed influenti della storia del cinema? Stiamo parlando di un debutto in un altro campo artistico, quindi le aspettative non dovrebbero essere così alte. Ma la questione non è cosi semplice. Perchè il rapporto tra la musica e David Lynch è un legame stretto, pluridecennale, anche se anomalo come lui stesso dichiarò qualche tempo fa in un’intervista al L.A. Week «I’m not a musician, but I play music. So it’s a strange thing».
La musica nei film di David Lynch non ha solo un ruolo centrale, ma è parte integrante delle sue pellicole, un tutt’uno con le storie, i personaggi, i luoghi presenti nei suoi (capo)lavori. Ha svolto sempre un lavoro maniacale sotto questo punto di vista. Pensate a Twin Peaks, Mullholland Drive e soprattutto Velluto Blu senza le musiche di Angelo Badalamenti. Spesso in prima persona è intervenuto nella scrittura dei pezzi: ha scritto i testi per la colonna sonora del suo primo lungometraggio Eraserhead (1977) e le musiche per alcuni pezzi del suo ultimo film Inland Empire (2006). Nel 2009 partecipa come guest Vocal nella title-track dell’album-collaborazione di SparkleHorse e Danger Mouse. Inoltre ha anche diretto alcuni video musicali di musicisti quali Moby e Interpol. Quindi potremmo definirlo quasi un veterano e che questo sia un debutto alla lunga distanza.
In questo ultimo scorcio di 2011 arriva l’album, preceduto da varie anticipazioni (primi su tutti i singoli Good Day Today e I Know, in streaming già da inizio anno). Nelle registrazioni è stato aiutato da Dean Hurley che ha suonato chitarre e batteria. Il titolo dell’album, Crazy Clown Time in qualche modo è già un riflesso di quello che poi si ascolta nell’album: clown (un personaggio divertente e per antonomasia spaventoso e che riflette un suo certo sarcasmo dark) e l’aggettivo Pazzo che descrive perfettamente il disco, decisamente fuori dagli schemi.
Musicalmente parlando prevale l’elettronica, soprattutto lo stile trip-hop e quella più incalzante in stile Orbital degli anni ’90; inoltre ritroviamo elementi rumoristici, echi di blues e continue manipolazioni del suono. Il tutto, naturalmente, è legato da un velo noir e notturno che ricopre tutto l’album. E’ proprio il caso di dire: prevalgono atmosfere lynchiane.
Si parte con Pinky’s Dream che vede la partecipazione vocale di Karen O. degli Yeah Yeah Yeahs: suoni rarefatti (batteria pulsante e chitarre vibranti e languide) e la voce della cantante è soffocata, inquietante e sensuale allo stesso tempo. Nella successiva Good Day Today piomba l’elettronica danzereccia in pieno stile Daft Punk e Moby, intermezzata da rulli di batteria che sembrano colpi di pistola. Deludente il finale sfumato. Il testo è breve, conciso ma efficace ed è una sorta di richiesta di aiuto, una tentativo di uscire fuori dall’oscurità («So tired of fire, so tired of smoke /Send me an angel, save me»).
Tema simile ricorre in So Glad, che è il primo pezzo dove l’influenza della musica di Bristol (e la risentirete in maniera più convincente in I Know): in particolare mi sembra azzeccato un paragone con Tricky che probabilmente è colui che ha accentuato maggiormente la componente ombrosa nelle sue composizioni. Della stessa tipologia ma più tesa è la successiva Noah’s Arch: questa volta Lynch non canta, ma si lancia in uno spoken word. La voce si fa più sussurrata e questo rende il pezzo molto più visionario rispetto a quelli sentiti finora. Finalmente l’ascolto comincia a produrre anche un certo effetto visivo (di rimando ai suoi film) che sinora era mancato.
Gli echi di blues di cui parlavamo ad inizio recensione si sentono tutti in Football Game, uno dei pezzi migliori dell’album: l’aria si fa più tenebrosa, il suono più ubriaco e la parte vocale acida. L’album comincia a decollare. E lo dimostra la successiva Strange and Unproductive Thinking, con una batteria minimale e una chitarra dosata e minacciosa che accompagnano un flusso continuo di pensieri e parole. La successiva The Night Bell with Lighting è senz’altro il miglior pezzo dell’album: sarà un caso ma è l’unico pezzo strumentale che propone un dark-downtempo che evoca le atmosfere di Elephant Man e la sensazione della paura di far paura. Si respira la stessa aria nella title-track ,con la differenza che le voci lamentose, gotiche e decadenti accentuano il tutto.
In Stone’s Goes Up si ripete lo stesso schema di Good Day Today, mentre sorprende la successiva These Are my Friends con una chitarra vellutata, la voce più rilassata: il pezzo mi ha ricordato molto People di Boyd Rice. Non si discostano molto da questo stile e atmosfera Movin On e Speed Roaster: quest’ultima ha sicuramente maggior impatto emotivo e risulta uno dei pezzi più claustrofobici del lavoro del regista americano. E non è da meno She Rise Up, a cui è affidata a conclusione del disco, pezzo che è la sintesi perfetta delle sonorità presenti: ipnotica come poche.
La mia opinione sul disco, si sarà compreso, è più che positiva: non siamo di certo davanti ad un capolavoro, c’è una certa ridondanza in alcuni pezzi e non spicca di certo per originalità; quest’ultimo è sicuramente un fattore importante ma non determinante per la riuscita di un disco. L’obiettivo di Lynch non era quello di rivoluzionare il mondo della musica, sapendo bene che non è il suo mestiere; a mio parere, c’era l’esigenza di trasformare la sua arte visiva in note musicali e di dare ai suoi contenuti un’altra forma e in questo senso penso che il risultato sia più che buono.