Com’è Vinyl?
La nuova serie di Martin Scorsese, Mick Jagger e Terence Winter
Il titolo del nuovo e attesissimo show HBO rimanda a un supporto analogico, il vinile, ormai tecnologicamente superato, ma idolatrato e riportato a seconda vita da un’enorme cerchia di appassionati. Allo stesso modo la narrazione ci riporta indietro nel tempo, agli anni più vivaci e gloriosi del Rock, quegli anni Settanta all’insegna dell’eccesso e della rottura definitiva con la cultura del passato.
È nella New York del 1973 che si apre la scena, Richie Finestra (Bobby Cannavale), è seduto nella sua macchina con una bottiglia di whiskey e in cerca di cocaina. È in preda a una profonda crisi che lo sta facendo crollare, fino a quando la sua automobile viene (letteralmente) travolta da un’orda di giovani che corrono in estasi verso un palazzo fatiscente da cui proviene della musica. Sembra della buona musica, Richie allora li segue ed entra nel locale. In quel preciso istante lo spettatore capisce che non si tratta di un semplice commento musicale, ma di un elemento che si erge a personaggio, pervade lo schermo e accompagna il personaggio ai piedi di un palco dove un giovane David Johansen (futuro leader dei New York Dolls) manda in visibilio il variegatissimo pubblico con Personality Crisis.
Probabilmente si tratta del prodotto più atteso di questo inizio 2016 e le altissime aspettative dettate dall’eccellente qualità del network e l’autorevolezza degli autori Martin Scorsese, Mick Jagger e Terence Winter sono state ripagate (per ora) con un episodio pilota di grande qualità e maturità. In questi 112 minuti siamo catapultati dentro il mondo del produttore musicale Richie Finestra (Bobby Cannavale, Boardwalk Empire, Blue Jasmine), della sua ascesa e di quello che sembra essere il suo declino, secondo una struttura narrativa non lineare che tocca tre livelli temporali distinti. Il marchio di Scorsese è ben presente, i rimandi al suo cinema sono molti, soprattutto al recente The Wolf of Wall Street, scritto anch’esso da Terence Winter, il quale non è da meno, facendo sentire la sua penna, riportando sul piccolo schermo alcuni temi e l’estetica violenta già visti ne I Soprano (dove si fece le ossa alla corte di David Chase) e in Boardwalk Empire, di cui fu showrunner.
Ed è proprio l’estetica, assieme ovviamente a una scelta sapiente della componente musicale, a rendere questa introduzione quasi perfetta: sono anni in cui tutto era in fermento, Mick Jagger e gli Stones erano già ampiamente affermati e un giovane Martin Scorsese girava film destinati a rimanere nella storia del cinema. Sono i tempi di Andy Warhol (che curiosamente diresse un film dal titolo Vinyl nel 1965) e della factory, del rock, del blues e del soul, di Bo Diddley e Otis Redding, dei Black Sabbath, dei Led Zeppelin, del sesso libero, della droga, degli eccessi. Un momento storico grandioso, nel quale gli autori accompagnano lo spettatore evitando la (facile) caduta nello stereotipo, costruendo una struttura contraddistinta da grande spessore contenutistico e snellezza formale, permettendo una fluida e chiara visione sia per un nostalgico degli anni Settanta che per chi in quegli anni non era ancora al mondo e adesso gli sembra di esserci un po’ più vicino.
Inoltre l’ottimo cast diventa valore aggiunto di un’impalcatura produttiva solidissima, su tutti la scelta del protagonista Bobby Cannavale, al quale sembrano calzare a pennello i panni di un personaggio talentuoso, strabordante e incline alla trasgressione, specialmente perché queste caratteristiche sono trasmesse allo spettatore per privazione, grazie ad una performance che dipinge il personaggio come un animale in gabbia, un uomo che si dedica a una vita regolata grazie all’amore per la famiglia (e a problemi di dipendenza passati), ma che nasconde internamente una natura diametralmente opposta ed esplosiva. Uno show dal potenziale enorme, con una premessa che infonde grande fiducia nello spettatore.