Come True
L’estetica anni 80 al servizio di un flusso etereo e narcotico. Difettoso ma con stile.
Secondo film del regista e sceneggiatore Anthony Scott Burns, Come True è un’opera audace e tortuosa ma affascinante da guardare. Cinema analogico, goffo e spiazzante che partendo da una premessa semplice (Dreams …come true..) va avanti con una sicurezza sorprendente, mescolando orrore lovecraftiano, immagini ricercate e un’atmosfera inquietante.
Sarah è un’adolescente in fuga, che vive per strada e fa brutti sogni, talmente brutti da non farla dormire da troppo tempo. La ragazza accetterà di fare da cavia in una clinica del sonno, dove verrà pagata per passare ogni notte per i prossimi due mesi collegata a delle macchine che monitoreranno il suo stato REM. Il programma, gestito dal dottor Meyer (Christopher Heatherington) e dall’allievo “Igor” Jeremy (Landon Liboiron), ha come obiettivo quello di sperimentale un sistema che consente di vedere cosa si sogna, compresi oscuri incubi tanto pericolosi da minacciare di superare la realtà. To sleep perchance to scream (parafrassando l’Amleto in salsa horror).
Come True è un film di soglie e spazi liminali, di zone grigie e terre di nessuno. Una congiunzione stratificata disinteressata alla violenza disordinata, bensì ad un terrore strisciante persistente e pervasivo. E’ come sbirciare negli angoli bui del mondo reale, tirando delle corde che non dovrebbe essere sbrogliate. Le Inquietudini nauseabonde create su architetture fredde e distacco clinico, sono tutti elementi che mostrano un debito con la visione di David Cronenberg , oggi ispirazione onnipresente nel genere. Infatti, le scenografie retrò, l’ illuminazione a toni blu scuro e una colonna sonora vaporwave ispirata a Vangelis e al cinema di N.W. Refn, sommergono il film in un’atmosfera noir e sci-fi degli anni ’80.
Le numerose sequenze ambientate nel mondo del sogno ci ricordano che non c’è mezzo espressivo più onirico del cinema. Tra Dalì e Cocteau, l’occhio della mente è in corsa su di un binario, con creature oscure nascoste nelle profondità sotterranee, sagome che trascendono la soglia del sonno valicando le porte dell’inferno come in un film di Lucio Fulci. Verso l’inizio del terzo atto, quando la dimensione dell’incubo è senza controllo, il regista cerca un’inversione della realtà in stile Mulholland Drive, fallendo del tutto i suoi propositi e gettando nel fango alcune buone idee narrative costruite fino al momento. Il film riacquista uno slancio con il colpo di scena finale, anche se sembra appartenga una storia diversa e quindi non coerente con il doloroso viaggio di Sarah.
La ragazza per tutto il film non sa se sta sognando o se è lei stessa il sogno. E’ una bambina smarrita, ma all’apice dell’età adulta e in cerca di indipendenza. Con il suo aspetto androgino ed etereo contamina di un’ambiguità sessuale tutta la storia fino alla rivelazione finale che scuote caoticamente tutto ciò che ha preceduto in una nuovo configurazione di significato, non del tutto soddisfacente date le premesse di partenza. Come true, come in un sogno inquietante, superate le parti che non hanno senso, rimarrà indelebile dopo aver riaperto gli occhi.