Come restare Vedove senza intaccare la Fedina Penale – Luca Manzi | Stella Saccà
Attenti uomini, perché le donne dell’era 3.0 d. Z. (dopo Zuckerberg) hanno imparato a coalizzarsi contro il maschio internauta da YouPorn: bastano un gruppo segreto su Facebook, quattro sconosciute ben assortite, un garage, un piano diabolico e, come recita la parola d’ordine delle 007 wife’s edition, l’uccello è nella gabbia.
O forse no.
Incagliate in un vortice di disperazione sentimentale, fragilità femminile e istinto di rivalsa, entrano in scena tre donne completamente diverse: alla precisina repressa, l’ecologista finta-povera e l’attrice burina di fishon si aggiunge, poi, per caso, un’immigrata più latino che americana; ed ecco che la vendetta è pronta per essere elaborata: Come restare vedove senza intaccare la fedina penale.
Mentre l’atmosfera da spy-story diventa sempre più quella di una riunione da desperate housewives di Tor Tre Teste, vengono fuori i dolori personali (e forse anche i sensi di colpa) delle quattro donne: tradimenti, violenze, vessazioni e umiliazioni. La commedia si tinge di noir e la strategia degli omicidi a incrocio può finalmente prendere piede.
Quel che accade dopo merita di non essere svelato: la scrittura brillante di Stella Saccà (che anche quando sfiora tematiche delicate e di attualità non scade in drammoni, mantenendo piuttosto sempre un’ironia verace) riesce a innescare una mina solo in apparenza anti-uomo. L’unico indizio che può essere raccolto e restituito senza rischi (perché disponibile a priori allo spettatore) è quello di riflettere sul peccato originale delle donne in amore (pensare sempre con me cambierà) e sui nomi delle protagoniste: Costanza (Serena Bilancieri), Speranza (Beatrice Aiello), Luce (l’irresistibile Camilla Bianchini), Consuela (Stella Saccà).
Alla fine di questo tutorial della felicità invertita, non si può non rendere omaggio all’autrice Saccà, al regista e co-autore Luca Manzi (già ideatore della serie tv Boris, che dà allo spettacolo una godibile impronta da montaggio cinematografico) e alle attrici: uno spettacolo coerente, divertente e, come vuole la tradizione della commedia, con una spinta alla riflessione che agisce puntuale appena usciti dalla sala.
Dunque fino al 30 novembre al Teatro Due, le donne possono ridere di sé stesse. In fondo sono come quel giradischi che rimane sul palcoscenico per tutto lo spettacolo: in attesa che qualcuno porti una puntina nuova, una valvola funzionante e, soprattutto, un bel disco su cui danzare libere, tra amiche omo-dipendenti.
Teatro Due, Roma – 18 novembre 2014