Vi diciamo come girano i concerti in Calabria
Il Color Fest Winter Session
Siamo stati al Color Fest Winter Session e abbiamo fatto un po’ il punto della situazione al sud, in Calabria. Vi chiederete se vi siete persi molto. Se sarebbe stato meglio andarci.
Sì, chiaro, ovvio.
Gli appuntamenti con la buona musica non sono mai da perdere, se poi si tratta di date al Sud l’entusiasmo deve essere doppio. È stato doppio. Ci si lamenta del poco, del male organizzato, della fuga della musica, ma quando validi artisti baciano finalmente la Calabria, allora l’unica cosa da fare è partecipare, esserci. Proprio così: la Calabria, a volte snobbata o sconosciuta, quella per cui alla domanda “conosci la Calabria?” molti restano attoniti e con lo sguardo inebetito tacciono. Che poi è risaputo non è la terra dei concerti continui, degli eventi mozzafiato e delle serate dai titoli risonanti, non lo è mai stata, ma non è detto che non lo stia diventando o che non lo sarà.
Non ci si può lamentare ad ogni occasione, si deve reagire. Anche in questo caso non è stato tutto perfetto, la perfezione è fantascienza, ma la Calabria si è fatta amare, scoprire e conoscere ancora e chi finora è stato qui l’ha capito bene.
Il freddo, qualche pioggia, le mezz’ore fisiologiche ad aspettare gli inizi dei concerti e un po’ di quella calca che ti toglie il fiato. Ma perchè criticare. La realtà è questo. Fortuna che ci sia un feedback verso chi fa qualcosa. Giudizi sterili, cavilli, attacchi non servono a nulla.
Il Color Fest Winter Session è stato un appuntamento dedicato alla gente, agli appassionati, ai giovani e meno giovani, a tutti. È stato un’alternativa al mondo del digitale e della finzione, è stato concretezza e anche un po’ provocazione. È stato una sfida ai budget stringati e ai luoghi comuni, ma soprattutto una risposta agli scettici approssimativi e ai qualunquisti che si zittiranno almeno per qualche mese o più, si spera.
D’altronde che la musica e l’arte scatenino bombe di energia e di vita quando arrivano al sud o meglio a Lamezia Terme, l’avevano dimostrato quattro edizioni di Color Fest.
Si parla di quattro anni in cui, sotto la direzione di Mirko Perri e della sua squadra, si è dato spazio a tante produzioni artistiche e musicali da non dover invidiare neanche la grande Milano, che comunque resta Milano. La storia è andata avanti anche qui e il Color Fest Winter Session ha voluto dimostrarlo. La rassegna di musica ed arte indipendente promossa dall’associazione culturale Cosa sono le Nuvole non è stata una copia sbiadita dell’estivo Color Fest 2016, ma un diverso momento di condivisione e un’altra conferma di buona musica, di arte, di cultura.
Motta, photography ©Vito de Filippis all rights reserved
Il 22 dicembre al Cafè Retrò di Lamezia Terme è arrivato il giovane talentuoso Motta acclamato a gran voce dal pubblico e introdotto dalla rock band calabrese Dissidio e dal dj set di Daniele Giustra. Il cantautore e polistrumentista pisano ha portato con sé l’esperienza, il fascino semplice e immediato, ma soprattutto il suo primo progetto da solista La fine dei vent’anni, di cui ha composto testi, musiche ed arrangiamenti, insieme a Riccardo Sinigallia, produttore dell’album e autore di alcuni brani.
Vincitore del Premio Tenco 2016, si è scatenato sul palco, tra l’affetto di centinaia di persone. Ha ballato, saltando durante tutta la performance, ha caricato se stesso e il pubblico con frasi liberatorie e non ha rinunciato alla trasgressione di scendere tra i suoi fan, per coinvolgerli e travolgerli. Non è mancato nulla: foto, colori e smartphone in mano ai più tecnologici per leggere i testi e non sbagliare nemmeno una parola. Sì, davvero, non c’è più religione. Abbiamo visto anche questo: telefoni cellulari per ricordare le canzoni. Ora dico, va bene leggere e cantare, non c’è dubbio, ma vuoi mettere ricordare le parole a memoria e stressare il mangiacassette e i cd fino allo sfinimento come succedeva in passato? I tempi cambiano, forse i fan vecchia maniera griderebbero alla follia, ma la musica è una famiglia in espansione e c’è posto per tutti. Va bene così. Per fortuna su un tappeto di suoni la scoperta dell’età adulta di Francesco Motta ci ha fatto superare anche questa scena che chiameremo “moderna”. Abbiamo dimenticato tutto con dieci canzoni: Sei bella davvero, Prima o poi ci passerà, Una maternità, Se continuiamo a correre, Mio padre era comunista. È stato emozionante vedere tutti cantare a squarciagola La fine dei vent’anni, Abbiamo vinto un’altra guerra e Del tempo che passa la felicità, mentre gli strumenti invadevano le parole flebili e suggestive in Prenditi quello che vuoi.
Cosmo, photography ©Color Fest all rights reserved
Stesso posto, altra data. Il 27 dicembre è stato all’insegna del dj set di Fabio Nirta, ma soprattutto di pop, dance ed elettronica con Cosmo.
All’anagrafe Marco Jacopo Bianchi, frontman dei Drink to me, dopo Disordine del 2013, ha pubblicato nel 2016 il suo secondo album da solista L’ultima festa e, in tour per l’Italia, qui in Calabria ha anticipato l’euforia del capodanno con i suoi beat elettronici, i suoi campionamenti e il suo straordinario modo di creare musica. Fuori dal Cafè Retrò il palco per lui è diventato lo spazio di tutti, sia dei suoi batteristi, sia della tanta gente con cui ha interagito, scendendo tra di essa per cantare e immortalare in una foto il momento (eccoci di nuovo), invitandola a salire o scambiando qualche battuta subito dopo. È stato tutto un delirio di voci, suoni, colori per quella che più che l’ultima è diventata una festa memorabile.
La scaletta, poi, mica male: Cazzate ha dato il via seguita da un’emozionante Dedica e dalla ricerca musicale di . Raccolti sotto il palco o sparpagliati qua e là, i tanti fan tra una birra e l’altra si sono bevuti anche, Dicembre, e la metafisica Cosmica-Cosmiana di Esistere. Sembrerebbe una battuta ma sul finale Cosmo ci ha portato veramente fino a L’altro mondo e, tra i cannoni sparacoriandoli, gli unici imperativi sono stati saltare e ballare per L’ultima festa. Non so se racconteremo davvero ai nostri figli che quella sera abbiamo pogato ascoltando Cosmo con un drink in mano o che l’abbiamo aspettato dietro il palco per chiacchierare con lui e far sapere quanto i calabresi l’hanno viziato pre e dopo concerto con il cibo. Non lo so, ma quel che so è che quella sera l’abbiamo vissuta alla grande e la ricorderemo per un bel po’.
The Zen Circus, photography ©Vito de Filippis all rights reserved
Eravamo lì anche il 5 gennaio quando il Festival ha chiuso i battenti al Vinyl di Lamezia Terme insieme al dj set di Fabio Nirta, presenza costante nella scena underground calabrese, e agli ospiti d’eccezione The Zen Circus. Sold out di biglietti e di emozioni in compagnia della band toscana che, dopo otto dischi, un Ep e diciotto anni di vissuta carriera, si è confermata una certezza per il panorama rock italiano anche con il suo nono album La Terza Guerra Mondiale, uscito per La Tempesta Dischi. Unico concerto a pagamento, proprio La terza guerra mondiale ha aperto il concerto in un locale stracolmo di anime. Dal nuovo album sono spuntate anche Non voglio ballare, Ilenia, Pisa merda, Zingara, L’anima non conta, Terrorista, Andrà tutto bene, mentre tra hit più datate, tra le altre, sono ritornate Vai vai vai, Postumia e Viva, I qualunquisti, L’amorale, Gente di merda, Andate tutti affanculo, Vecchi senza esperienza, Canzone di natale, L’egoista, Figlio di puttana e Vent’anni. La musica è stata coinvolgimento con Andrea Appino che si è lanciato sul pubblico, tornando poi sul palco sollevato dai fan. Ha suonato senza mai fermarsi: è stata energia allo stato puro con Karim Qqru alla batteria, a petto nudo tutto il tempo; è stato lasciare da parte la farsa del ritorno dai camerini perché i concerti sono fiumi in piena da non interrompere e, contrariamente al sistema, gli Zen Circus sono oltre e lo saranno sempre.
The Zen Circus, photography ©Color Fest all rights reserved
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