Collinarea risponde ai tagli con l’impegno
Il XVIII festival resiste sotto l'egida degli artisti
Può essere il denaro a comandare l’esistenza degli uomini?
Suonerà un po’ retorico, non lo nascondiamo, ma siamo talmente abituati ad utilizzarlo, a desiderarlo, a condannarlo, che ci siamo dimenticati che in realtà il denaro nasce come mezzo di fiducia: una banconota non ha valore di per sé, ma suggella un patto cui chiunque se ne serva accetta di aderire. Il problema però è che tale sistema non nasce mai da zero ma si sviluppa in un contesto in cui i rapporti di potere sono già dati . Come spiega l’ex-governatore della Banca d’Inghiltera Marvyn King, sorge allora una domanda: «Ci si può fidare di chi emette il denaro? Così quel ruolo venne assegnato allo Stato, e allora la domanda divenne: possiamo fidarci dello Stato? E per molti versi questo è un modo di chiederci se abbiamo fiducia in noi stessi e nel futuro.»
E a proposito di fiducia nel futuro. Venuto a mancare il contributo del Teatro Nazionale della Toscana (lo stesso che ha sospeso bruscamente lo Zio Vanja di Janeič e che non ha avuto grandi remore assieme allo Stabile di Torino a investire centinaia e centinaia di migliaia di euro per il Galileo di Lavia, vero schiaffo alla miseria), Loris Seghizzi ideatore e direttore artistico del festival di Lari si è ritrovato davanti a un bivio: rinunciare o resistere? E di fronte alla difficoltà alla fine ha vinto l’impegno. «Il Collinarea Festival 2016 è un’edizione realizzata con tutte le compagnie e gli artisti che partecipano spiega Seghizzi perché, questa volta più che mai, è con loro che il festival si fa. Gli artisti [ ] hanno infatti deciso di partecipare gratuitamente al festival pur di non farlo morire.»
Ancora una volta, dunque, in questo momento di precarietà economica il teatro ritorna alla sua matrice prettamente sociale facendo appello al senso dell’adesione sensibile (abbiamo già avuto modo di raccontarlo a proposito dell’Alto Fest di Napoli, dell’IT Festival di Milano e ci torneremo a breve per la rassegna ingauna Terreni Creativi). Quando le istituzioni non rispondono si riparte dalla polis. E di fatto intitolare questa XVIII edizione all’Urgenza è né più né meno un atto politico.
Oltre duecento le risposte di solidarietà di colleghi e amici, tanto che la direzione artistica ha dovuto con sua stessa sorpresa fare una selezione. E chi ha pensato che quest’anno si trattasse di un “festival a ribasso” (buona parte della critica ha preferito dirigersi esclusivamente al Volterra Teatro Festival), si è dovuto ricredere. Al di là del giudizio sul singolo spettacolo, infatti, il merito di questa edizione è stata quella di essere riuscita a offrire una proposta coerente e articolata: ogni singola rappresentazione, ciascuna a suo modo, ha mostrato un esempio di resistenza attiva.
Si pensi al brillante Totem BA di Michelangelo Ricci/Teatro dell’Assedio, in cui due buffoneschi gemelli siamesi scoprono di essere in realtà condannati alla repressione della propria doppiezza (cioè la morte di uno dei due) in nome di una facile omologante normalità: e non fosse per un eccesso di lunghezza e verbosità, questa splendida e immaginifica metafora del conformismo la diremmo una delle creazioni più vivaci cui abbiamo assistito negli ultimi tempi (sorprendenti interpreti da teatro dell’assurdo Maria Grazia Fiore, Maurizio Muzzi e Simona Baldeschi).
Esempi di resistenza, di urgenza, di rinnovata semplicità giungono poi dal teatro di narrazione: con l’immediatezza di Transumanze di Fabrizio Pugliese/Ura Teatro e di Cammelli a Barbiana di Luigi D’Elia e Francesco Niccolini (entrambi gli studi si avvalgono della collaborazione “dietro le quinte” di Fabrizio Saccomanno), l’uno racconta lo sventramento di terre e tradizioni secolari sull’onda barbara della corsa speculativa al progresso (leggi: quando le grandi opere servono più a separare le genti che a unirle); l’altro tratteggia la figura irregolare di Don Milani, quel prete scomodo, confinato, che attaccò dall’interno le ipocrisie del Cattolicesimo per rilanciare la vera missione ecclesiastica, cioè quella di riunire gli uomini sotto il segno di una comune educazione. E sempre a proposito di comunità di uomini, coraggioso e necessario lo studio di Scenica Frammenti (la compagnia di giro diretta dallo stesso Seghizzi, che vanta tre generazioni di teatranti) L’Italia è fatta, in cui dietro la narrazione apparentemente raffazzonata di un “garibaldino per caso” (un Roberto Kirtan Romagnoli sopra le righe) si vanno svelando i falsi miti di quella truffa violenta ai danni del Sud che fu l’Unione di Italia.
Ancora troppo congestionata ma intrigante, l’anteprima di ICH BiG della Compagnia R/V che mescola il desiderio di emancipazione dai vincoli della vita di paese (meridionale) e la lotta intestina del Raskol’nikov di Delitto e castigo, l’antieroe dostoevskijano scisso tra la misera finitezza della propria esistenza e il delirio di onnipotenza delle proprie aspirazioni. Forse ci sono più stimoli di quanti ne vengano effettivamente sviluppati, e chi non conosce il testo russo potrebbe smarrirsi facilmente, ma la virtuosa prova d’attore di Francesca Ritrovato colpisce e tiene desta l’attenzione.
E a ricordarci che il teatro è un’urgenza, che questa XVIII edizione potrebbe comunque trasformarsi nel canto del cigno di Collinarea, al centro della piccola Lari, inaugurato da Vittorio Sgarbi il 25 luglio, c’è il Container dell’artista palermitano Cesare Inzerillo: un’installazione volontariamente grezza, invadente, che dall’esterno cozza con i colori del piccolo borgo medievale ma che una volta penetrata racconta (innumerevoli schermi con ciascuno una voce parlante) l’esigenza degli artisti di ricostruire un proprio ambiente, anche se quel vociare ci rammenta altresì che prima di affermarsi sarà necessario che l’artista impari ad ascoltare; pena la sorte dell’opera posizionata nel secondo container Il padrino parte in quarta in cui un uomo più morto che vivo (l’artista? Inzerillo si ispira a Kantor e alle Catacombe cappuccine della sua città) viene sospinto su una carriola da un altro “mezzo-cadavere” che sembra un malavitoso (le istituzioni?) a ben guardare, più colpevole che salvifico.
Insomma, il pubblico c’era, gli artisti pure, i prezzi erano più che democratici, i laboratori animavano le vie del paese, e le contingenze hanno creato numerosi momenti di incontro. Ritorniamo allora alla domanda iniziale: può essere il denaro a comandare l’esistenza degli uomini?
Certo è che a riprendere l’immagine di Inzerillo se il Teatro Nazionale della Toscana e la Regione continueranno a disinteressarsi, avranno presto un “morto” sulla coscienza.
(Foto © Andrea Casini | Sofia Fossi)
Letture consigliate:
• Collinarea XVII. La crisi dell’inclusività e la discriminazione culturale, di Giulio Sonno
• Collinarea XVII. Intrattenimento o cultura?, di Giulio Sonno
Ascolto consigliato
Collinarea Festival, Lari (PI) – 26 e 27 luglio 2016