Clint Eastwood
100 registi (e tantissimi film) che migliorano una vita
Beata la terra che non ha bisogno di eroi. L’America di ieri e di oggi non è così fortunata, e sulla figura dell’eroe ha costruito la sua identità, la sua mitologia, il suo cinema, il suo sport, la sua politica. Clint Eastwood è stato e continua a essere un grande eroe americano. Interpretando il biondo pistolero nella Trilogia del dollaro di Sergio Leone, silenziosa e implacabile sfinge con sigaro e cappello, si è consacrato icona assoluta del Western. Con una 44 magnum in pugno è stato il duro dei duri, Dirty Harry Callaghan, prototipo di tutti i poliziotti di strada feroci e spietati, ma giusti.
Sulla scia dei suoi maestri Sergio Leone e Don Siegel negli anni Settanta passa dall’altra parte della macchina da presa, il primo titolo è Brivido nella notte, 1971. Eastwood è protagonista dei suoi film, produttore e compositore delle colonne sonore. Dei primi tempi ricordiamo i Western crepuscolari e leoniani Lo straniero senza nome, Il texano dagli occhi di ghiaccio, Il cavaliere pallido, in cui mette in gioco il suo stesso mito di cavaliere solitario, di uomo di giustizia in terra selvaggia.
Le praterie del Midwest e le strade delle metropoli, ma anche l’Africa, i campi di battaglia, lo spazio, sono le terre selvagge attraversate in decenni d’inimitabile carriera dal rigoroso occhio filmico e dal corpo iconografico di Clint, uomo di ferrea legge morale, un maverick a disagio con le etichette, uno a cui andrebbe bene l’autodefinizione montanelliana di anarchico conservatore, quasi sempre un passo avanti o di lato nella consapevolezza dell’irriducibile ambiguità del reale. È lui l’ultimo vero classico, nella sua abbacinante modernità.
Tanti grandi film e un numero di capolavori che basterebbero a tre carriere da leggenda. Nel 1993 Gli spietati chiude i conti con il Western in maniera magistrale. I ponti di Madison County (1995) è storia d’amore senza tempo. Nell’ultimo decennio una serie di opere epocali: nel 2003 il superbo thriller Mystic River, seguono Million Dollar Baby, la migliore rappresentazione dell’eutanasia vista al cinema; il dittico dedicato alla battaglia di Iwo Jima Flags of our Fathers e Lettere da Iwo Jima che raddoppia i punti di vista portando un’analisi preziosa del meccanismo di eroicizzazione dell’uomo qualunque americano e una poetica elegia del valore umano del nemico sconfitto.
Gran Torino nel 2008 è il testamentario addio alla recitazione (o almeno a quella autodiretta) impersonando il vecchio Walt Kowalsky, che è uno e centomila Clint Eastwood, amareggiato e incattivito ma ancora pronto a credere nell’America, nelle americhe, a cui lasciare un’eredità che già ora, in una carriera che prosegue in barba agli ottantadue anni, è immensa e perfetta e ingestibile come la vecchia Ford del titolo.