Celestini e le voci dell’invisibile Pueblo
Debutta a RomaEuropa il nuovo spettacolo dell'artista romano
La drammaturgia è la vita che passa attraverso di te. In questa maniera io penso la scrittura.
— Ascanio Celestini
Ciò che probabilmente conquista del teatro di Celestini è questa particolare idea di costruzione dello spettacolo, che egli stesso definisce un «lavoro di tessitura». E ce lo immaginiamo proprio così il nostro cantastorie che, come un antico tessitore, resta in ascolto dei suoni prodotti dal telaio, intrecciando insieme fili di trama e ordito, volti e storie. La narrazione si fa fitta, come la pioggia all’inizio del racconto che, insieme alle musiche originali di Gianluca Casadei, accompagnano le parole.
Ascanio Celestini ritorna a Romaeuropa Festival con Pueblo, seconda parte della trilogia iniziata con Laika, e nuovamente «ci porta sulle strade / della gente che sa amare», come cantava Demetrio Stratos in Gioia e Rivoluzione. Esseri umani che avrebbero voluto farla la rivoluzione, ma che infine si accontentano di un proprio, spesso inospitale, posto nel mondo, che lo spaesamento del titolo originario, Dépaysement appunto, ben rappresenta.
Dapprima osservati attraverso i vetri di una finestra, pian piano i suoi personaggi costringono il narratore a “scendere in strada” a cantare le loro storie. Perché i personaggi di Pueblo sono gli uomini e le donne che popolano i quartieri di periferia, che percorrono le loro strade, sostano nei bar, animano i mercati. Storie che somigliano a milioni di altre storie, come quella di Violetta, una giovane donna che lavora come cassiera in un supermercato e siede sulla cassa come su di un trono, la barista, lo zingaro, Said l’africano che un giorno parte e non torna più, e Domenica la barbona, personaggio ispirato ad «Assunta la vecchia», che Celestini ricorda come spettatrice di molti suoi spettacoli e autrice di un testo intitolato Le ferite altrui non fanno male.
E la fantasia del raffinato poeta restituisce sulla scena le vicende, le contraddizioni, i colori, perfino gli odori di questa variopinta umanità. E le loro voci, i loro passi diventano il ritmo e la cadenza del racconto. E poi, tiene a precisare il nostro narratore al suo interlocutore Pietro (a cui presta la voce Ettore, figlio di Celestini), la storia «non è che sia vera, ma io la so perfettamente».
Nel 2005, a Castrovillari, in occasione del Festival Primavera dei Teatri, Celestini portava in scena Scemo di guerra (vincitore, nello stesso anno, del Premio Ubu come Nuovo testo italiano e presentato alla Biennale di Venezia nel 2004) tra le antiche viuzze della Giudecca, dove lo abbiamo visto mescolarsi tra la gente. E ogni volta ci sorprendiamo nel vederlo attendere, insieme al suo pubblico, che la narrazione abbia inizio. Una sorta di magica sospensione interrotta, una volta in scena, da parole nette, sapientemente scelte, come a scandire quei dati di realtà e di concretezza fondamentali per il racconto.
Ed ecco allora che in Scemo di guerra gli occhi del padre ragazzino guidano la voce del narratore e ci conducono per mano da Porta Pia a San Lorenzo, fino al Quadraro, nel giorno della Liberazione di Roma, il 4 giugno 1944. E in Pueblo ritorniamo, durante un giorno di pioggia, a percorrere le strade del Quadraro e ad osservare, attraverso i vetri di una finestra, la vita, o ad immaginarla.
Finestre! Guardi dentro la finestra come l’ostetrica tra le gambe di una donna. Per mille volte compare la punta di una testa e pensi solo che è una creatura della quale non sai niente. La fai nascere e basta. Ne fai nascere mille. Poi arriva quel giorno che ti basta quel pezzo di testa … per vederci tutta la vita. Il nome e il cognome, la prima volta in bicicletta, il primo amore e il primo dolore. … Vedi tutto fino alla morte. La vita inizia e la storia è già finita.
C’è tutto il percorso creativo di Ascanio Celestini, in Pueblo: c’è il poeta e la sua fantasia, e c’è l’uomo dietro i vetri che, a differenza di chi guarda e basta, è capace di creare quelle immagini che muovono le menti dello spettatore per condurle ovunque si posi il suo sguardo, attraverso quel misto di tradizione e poesia orale che diventa per l’artista una necessità. E c’è un filo di sacralità che corre lungo tutto il testo, che sottende a quell’autentica visione dell’umano scevro di qualsivoglia senso religioso.
Ascolto consigliato
Teatro Vittoria, Roma – 24 ottobre 2017
In apertura: Foto di scena ©Dominique Houcmant | Goldo
PUEBLO
di Ascanio Celestini
con Ascanio Celestini, Gianluca Casadei
suono Andrea Pesce
produzione Fabbrica srl
in coproduzione con Romaeuropa Festival 2017, Teatro Stabile dell’Umbria
distribuzione Ass. Cult. Lucciola