La teoria del criceto in cattività
'The Carnage' di Max Caprara
Tutti conoscono il criceto, il tenero animale da compagnia che allieta le nostre case, rinchiuso in una gabbia, intento a girare sulla sua ruota. Ma il suo aspetto dolce e innocuo, in realtà, nasconde un’indole feroce e assassina. Molti proprietari si sono resi conto di un orribile comportamento, estraneo alla maggior parte delle specie animali: mamma-criceto, spesso subito dopo il parto, divora i suoi cuccioli. La ragione dell’abominevole misfatto non deriva dalla natura dell’animale, ma secondo gli zoologi è stata generata dall’uomo. In natura il criceto non è solito divorare la sua prole, il roditore si comporta come tutti gli altri piccoli mammiferi, accudisce i suoi piccoli finché non li ritiene capaci di badare a sé stessi. È solamente in cattività che compie l’efferato gesto. Essendo un animale territoriale, quando si trova rinchiuso in una piccola gabbia, alla nascita dei cuccioli (di solito molto numerosi) vede minacciato il suo spazio vitale. Mamma-criceto si domanda: come faremo a vivere tutti in un posto così piccolo? Non trovando una soluzione sceglie, per la sua salvezza e per quella dei suoi cuccioli, la decisione più drastica: riporta i suoi figli dentro di sé.
È proprio un criceto il regalo che una coppia, appena arrivata in un nuovo condominio, riceve andando a cena dai rispettabili vicini del piano di sotto. Inizia così The Carnage (prod. Aut-Out), la tragicommedia scritta e diretta da Max Caprara in scena questi giorni al Teatro dell’Orologio. Ma non bisogna lasciarsi ingannare dal titolo: non è una riscrittura del Le dieu du carnage della drammaturga francese Yasmina Reza, reso popolare dalla versione cinematografica di Polanski. Certo però la storia è molto simile per non dire quasi speculare, l’unico elemento che fa la differenza è il criceto, o meglio, la sua presenza, visto che il roditore non entra mai in scena.
Ma c’è, si insinua nel nulla delle discussioni formali e banali che caratterizzano l’incontro tra le due coppie, rimane in disparte, mentre la cena si trasforma in un litigio senza esclusione di colpi e a un certo punto sembra quasi di vederlo correre sopra il palco. È proprio lui la novità drammaturgica inserita da Caprara.
Nella scialba e vuota vita delle due coppie, differenti tra loro eppure così uguali nel loro qualunquismo spicciolo, il criceto ricorda un insolito Godot, invisibile ma presente. Il nulla regna sovrano in questo spettacolo, e quando diventa talmente grande da non poter essere più nascosto, alle due coppie non resta altro che divorarsi tra di loro. Rinchiusi in questo mondo vuoto, esattamente come il criceto, non vedono altra via d’uscita che quella di eliminarsi a vicenda.
Riflesso delle due coppie, la società contemporanea, assuefatta dal nulla e destinata, proprio per questo motivo, all’autodistruzione. Costruzione registica e drammaturgica interessante per Caprara che riabilita il gesto di ispirarsi senza citarla alla commedia di Reza. Peccato per la recitazione degli attori (Michele Bevilacqua, Veronica Milaneschi, Giada Prandi e lo stesso Caprara), che spesso non riescono a reggere la struttura emotiva dei loro personaggi, eccedendo in un realismo esasperato che smorza l’efficacia di certi momenti drammatici.
Letture consigliate:
Infection (Yuk & Lek) – Max Caprara, di Nicola Delnero
Teatro dell’Orologio, Roma – 10 dicembre 2015