Captain Marvel
Una nuova forma di sguardo al femminile
Se nel 2017 Wonder Woman è stata la prima eroina di sesso femminile a esordire in un cinecomic stand-alone firmato DC, per il più riuscito e indubbiamente più remunerativo franchise targato Marvel si è dovuto aspettare il 2019, con l’uscita in sala dell’attesissimo Captain Marvel, lungometraggio interpretato dall’attrice premio Oscar Brie Larson. Fin dal concept di partenza, l’idea alla base del progetto è stata chiara: mettere in scena una storia che ponesse al centro delle vicende un personaggio femminile, rompendo il velato fallocentrismo che da sempre accompagna le trasposizioni dei fumetti dei supereroi.
L’arduo compito è stato affidato a una delle figure più trasformiste e complesse del mondo dei comics Marvel: la quasi omonima Captain Marvel. Se celebri combattenti come Iron Man o Black Panther sono stati infatti legati a un unico alter-ego per tutta la loro vita, ciò non può essere detto per l’ormai altrettanto nota supereroina proveniente da Kree, che nel corso degli anni ha spesso cambiato identità e sesso. Tralasciando quasi cinquant’anni di storia propriamente fumettistica, il lungometraggio di Anna Boden e Ryan Fleck ha dunque deciso di ignorare le vicissitudini dell’adonico Mar-Vell, del glaciale Genis-Vell o del temerario Noh-Varr, raccontando invece la storia della sua sesta alter-ego, Carol Denvers, nata su carta come Ms. Marvel. Una storia al femminile, dunque, voleva essere quella di Captain Marvel e, senza dubbio, la Disney ha portato a compimento il proprio scopo, ponendo al centro delle vicende un’eroina – ma ancor prima una donna – capace di eguagliare e addirittura superare i poteri di tutti i colleghi fino ad ora visti sul grande schermo, anche grazie a un (improbabile?) deus ex machina finale. Sebbene quanto affermato sia un dato di fatto, la vera forza della pellicola è tuttavia rintracciabile in un altro dettaglio, per alcuni forse liminale e prettamente terminologico, che è però indubbiamente degno di nota: Captain Marvel è sì un film squisitamente al femminile, ma non è e soprattutto non vuole essere un manifesto tradizionalmente femminista.
In un preciso momento storico come quello odierno in cui il femminismo è oggetto di diversi ripensamenti tra loro anche estremamente divergenti, una storia come quella di Carol Denvers non si delinea solo come il racconto di una donna capace di rialzarsi sempre e comunque, ma è anzi il riflesso di una forza individuale ampiamente collettiva e multiforme, che non si focalizza su un unico genere ma contempla l’intero spettro di emozioni umane. Abbracciando realmente un discorso di parità sessuale ma non sentendo la necessità di manifestarlo platealmente, il ventunesimo prodotto del MCU riesce quindi a partire da uno sguardo femminile per mettere in scena una storia di totalizzante umanità, dando ideologicamente per assodata una parità di genere che oggi dovrebbe essere tangibile e quindi non più richiesta.
Sebbene una lettura femminista possa essere e sarà sicuramente proposta, Captain Marvel ha pertanto un merito ben più grande che le deve essere riconosciuto. Permettendo anche allo spettatore e non solo alla spettatrice di immedesimarsi ugualmente con la fragilità e la forza della supereroina rappresentata, il film riesce non solo a combattere le differenze di genere, ma addirittura a rompere i confini su cui tali disparità si basano. Pur ponendosi come una pietra necessaria per il coevo pensiero femminista di stampo cinematografico, Captain Marvel è dunque un film al femminile, al maschile e contemporaneamente non sessualmente definito, che permette a chiunque lo guardi di ritrovare la propria tacita eroicità.