Cantami Orfeo, per combattere l’oblio
Il viaggio nella memoria di Teatro del Lemming
«Accept loss forever». In questa frase di Jack Kerouac è racchiusa la condanna di Orfeo. Il figlio di Apollo, primo poeta per eccellenza, capace di incantare la natura con il tocco della sua cetra o di commuovere le Furie, non riesce ad accettare la perdita della sua amata Euridice. Orfeo non sa che ciò che è perduto lo è per sempre e se si ribella agli dei è per impazienza d’amore; forse pecca di superbia credendo di sfuggire al suo ineluttabile destino, per questo quando si volterà nell’Ade a guardare Euridice prima del tempo la vedrà svanire per sempre davanti ai suoi occhi.
Cantami Orfeo del Teatro del Lemming parte proprio da uno dei miti più tragici e famosi della letteratura occidentale per farne non uno spettacolo ma un percorso esperienziale. Un percorso che inizia in una sala buia dello studio fotografico Monkey Mood in cui ci viene detto di lasciare gli effetti personali ed entrare scalzi. È il preludio a un felice lasciarsi andare: essere presi per mano e condotti direttamente nell’Ade di Orfeo, o meglio, nel nostro.
Buio profondo accompagnato da note al pianoforte: in un luogo onirico extra-temporale a metà strada fra le atmosfere à la Kubrick e à la Jodorowsky aspettano Orfeo (Massimo Munaro suele musiche e la regia) ed Euridice (Chiara Elisa Rossini) su un altare sospeso (elementi scenici Luigi Tronco) sotto al quale giace un materasso bianco dove si distenderà il pubblico. Come un sogno a occhi aperti, guarderemo infatti dal basso verso l’alto un gioco di luci e specchi cangianti mentre Euridice farà capolino dalla pedana per far rivivere, insieme a Orfeo, le parole immortali del mito attraverso le Metamorfosi di Ovidio, alternate ad altri frammenti poetici portandoci ad accedere così in una dimensione fortemente rituale e catartica del teatro in cui l’uomo è riconciliato con la sua essenza più antica e originaria.
Forse, però, importante non è tanto il significato delle parole quanto piuttosto quella voce segreta che la compenetrazione struggente fra parole e musica evoca dentro ciascuno: un’alchimia misteriosa in grado di riattivare gli ingranaggi arrugginiti della memoria e far sì che questa riaffiori in superficie. Ecco che allora quel vuoto abissale della stanza, simbolo di uno spazio occulto e irrazionale forse l’Ade, l’inconscio, la psiche stessa , viene colmato dal turbinare di pensieri invisibili di quelle venti persone che non assistono a uno spettacolo ma lo vivono sulla loro pelle.
Tutti allora diventiamo Orfeo, colui che scende nell’Ade alla ricerca non di Euridice ma di se stesso. Ed è proprio questo che sembra capitare a noi mentre assistiamo a Cantami Orfeo: di colmare la distanza tra ciò che siamo e ciò che abbiamo perso, di cercare i fantasmi sepolti dentro i ricordi, di accettare la perdita di ciò che non può più tornare, prima che tutto svanisca in un baleno, prima che ci rimettiamo le scarpe prima che la realtà quotidiana offuschi ancora una volta quella stanza psichica che abbiamo nascosta da qualche parte e che il teatro del Lemming ha riportato alla luce con un’intensità e una cura dei dettagli drammaturgici, registici, scenografici impeccabili.
Un teatro che unisce l’armonia apollinea della parola logica, tangibile con il caos primordiale dell’invisibile e irrazionale dionisiaco; un cortocircuito rarefatto di suggestione e tecnica che attraverso il mito vuole combattere l’oblio di ciò che siamo stati e non potremo mai più essere, perché è perduto.
(Foto ©Teatro del Lemming)
Letture consigliate:
Cuore di tenebra, lo smarrimento nella scelta – Teatro de los Sentidos|Enrique Vargas, di Giulio Sonno
Baby doe, o il corpo che si fa memoria – Gruppo Nanou, di Sarah Curati
Augenblick o la trappola della libertà – Amaranta Teatro|Orma Fluens, di Giulio Sonno
Ascolto consigliato
Monkey Mood, Roma – 15 maggio 2016