Cannibali – Kronoteatro
Come due pugili in attesa di battersi sul ring, così aspettano in scena Tommaso Bianco e Maurizio Sguotti, protagonisti di Cannibali. È subito chiaro che sul palco avrà luogo una lotta: quella che per Kronoteatro si incarna nelle dinamiche di uno scarto generazionale. I due attori presi a campione di un’universale giovinezza e maturità sono protagonisti di piccole istantanee che raccontano una continua storia di sopraffazione reciproca: padre contro figlio, insegnante contro alunno, datore di lavoro contro precario, infermiere contro malato. È uno scontro feroce, che diventa presto fisico e dal ritmo nervoso: gli attori indossano tute comode per picchiarsi meglio, ginocchiere, invadono lo spazio con poltrone che sono ora armi ora protezioni, poi si siedono esausti a guardare il pubblico, lo sguardo vitreo di chi combatte una battaglia che non ha niente di costruttivo.
Alex Nesti, un po’ arbitro un po’ bar man, monitora il gioco teatrale da una console e ha il compito di portare l’estraneo in scena: così, proietta immagini di repertorio della Sila, presa come elemento nostalgico di un paradiso perduto, scandisce il tempo con musiche elettroniche che fanno da contraltare a pubblicità di marchi totalmente avulsi dalla situazione, come lo sono anche i manga di eroine giapponesi (disegni di Fabio Ramiro Rossin), a sancire il fallimento dei nostri sul palco. È un teatro eterogeneo, composto da tanti elementi dissociati, la cui compenetrazione genera un umorismo che deriva dall’uso sapiente del grottesco.
Tra le pieghe di queste dinamiche generazionali emerge il quadro complessivo di una realtà disagiata, con tutte le ossessioni che la caratterizzano: il dramma del lavoro precario, la cura eccessiva per la salute fisica e mentale, l’incomunicabilità tra genitore e figlio o la difficoltà di stabilire relazioni con l’altro sesso non a caso, è un mondo defraudato delle donne.
Lo spettacolo procede per stratificazione, implode su sé stesso senza avere un reale sviluppo, riproducendo così l’andamento non lineare di un presente in stallo, assolutamente in crisi. Il conflitto però non porta a ulteriori consapevolezze, ma è soltanto uno strumento per mantenere il Potere della rispettiva generazione: si rivela illusorio, poiché la natura benigna e matrigna di Leopardi vero padre morale dello spettacolo, le cui parole ricorrono durante tutta la messinscena porta via tutto. L’unica soluzione allora è la resa: resa davanti al fluire inesorabile del tempo, resa davanti alla presa di coscienza delle proprie responsabilità: Ora tocca a me!, esclama Bianco. Forse è proprio in quella semplice battuta che si nasconde il germe del cambiamento.
Attraverso una drammaturgia essenziale quanto acuta (Fiammetta Carena) e un’interpretazione energica e viscerale, Kronoteatro scatta l’istantanea di un presente desolato quanto problematico, dimostrandosi osservatore sensibile della contemporaneità. Parlare di nostalgia di futuro, in questo caso, sembra particolarmente significativo; ché da questo presente, dove ci si mangia la felicità a vicenda, si vorrebbe certo fuggire.