La prima cosa che può venire in mente leggendo il titolo è: questo è l’ultimo di una lunga serie di film spagnoli cruentemente horror” (vedi [Rec], Sequestrados o Orphanage), Canìbal invece sfiora solamente il genere horror virando più sulla categoria thriller/noir.
Carlos (Antonio de la Torre) è uno schivo e ritroso sarto di Granada che vive solo nel suo appartamento situato a pochi passi dal suo atelier. E’ un buon vicino ed un ottimo sarto stimato da tutti i concittadini, tanto da essere chiamato dalla chiesa locale per riprodurre un’antica e pregiata veste che verrà utilizzata nella processione di paese. Carlos però è anche un cannibale. Più precisamente un cacciatore di donne. Non ha uno schema definito, si muove quando ha fame e poi punta dritto la sua preda come un lupo fa con l’agnello. Quando però nella sua vita giunge Nina (una bravissima Olimpia Melinte), sorella della sua ultima vittima, Carlos dovrà dire addio alla sua aura di lucida spietatezza e da cacciatore crudele e spietato.
La pellicola assume quasi le tinte di una favola dark: una dolce e ingenua fanciulla che si innamora del burbero e diabolico cacciatore di donne. E’ prima di tutto una storia d’amore. Un amore inaspettato e inatteso da Carlos che non sa come reagire alle continue avances di Nina. L’unico contatto che ha con le donne è prima di ucciderle, quando le annusa, le tocca, proprio come un macellaio fa con le sue prelibate carni. In realtà questa bestiale maschera del cannibalismo non è altro che una metafora del male che si cela dentro ognuno di noi; anche nel più rassicurante dei vicini (come spesso ci insegna la cronaca nera). Un male che si nasconde nella quotidianità e nella normalità di un paese sperduto come di una grande città, un male che non fa sconti a coloro che non sono in grado di riconoscerlo.
Cuenca apre la strada ad un nuovo genere, ad un modo di raccontare senza i soliti eccessi della categoria splatter, un modo di narrare raffinato ed essenziale nella sua drammatica disumanità.