Un’eredità difficile da tradire
Saponaro e il 'Calderón' di Pasolini
Anno 1656. Il pittore Diego Velázquez ultima una delle opere più misteriose del mondo dell’arte: Las Meninas. Oggetto di numerose interpretazioni, la tela gioca tra la realtà e il suo riflesso, o meglio, la sua rappresentazione, imponendosi così come uno dei modelli più riusciti con cui la società rispecchia sé stessa. Non è un caso allora che il quadro del pittore spagnolo sia il riferimento utilizzato da Pasolini per l’impostazione del Calderón, il primo dei suoi testi per la scena scritto attorno al 1967.
L’opera ha conosciuto poche effettive esecuzioni su palcoscenico (tra cui si ricordi quella di Ronconi del 1978) e una di esse è andata in scena la scorsa settimana al Teatro Nuovo di Napoli per la regia di Francesco Saponaro (produzione Teatri Uniti in collaborazione con Università della Calabria).
Proiettiamoci quindi nel 1967. Sullo sfondo della Spagna franchista, la protagonista Rosaura (Maria Laila Fernandez) è l’anima bella di fronte cui l’Ordine precostituito vacilla. Schiacciata dal giogo del Potere – qui personificato nella figura di Basilio (Andrea Renzi) – la donna riapre gli occhi in sogni di cui non porta memoria: nel primo come figlia di una famiglia aristocratica; nel secondo come prostituta in un villaggio di baracche; nell’ultimo, come moglie e madre di una famiglia medio-borghese.
A ridisegnare lo spazio in cui le realtà oniriche trovano concretezza è un impianto scenico (Lino Fiorito) costituito da pannelli moventi sui quali, attraverso le proiezioni video, la dimensione astratta del Potere prende vita nelle figure del re e della regina di Spagna—forse i veri protagonisti della tela di Velázquez. Andrea Renzi e Anna Bonaiuto (presente nella sola visione filmica)sono allora la coppia monumentale di regnanti, emblema di quella supremazia sociale che, dallo specchio del quadro, è riportata in primo piano, per conclamare la propria ineluttabile autorità sugli sconfitti della scena (e perché no, anche della platea).
Sull’orlo dell’incesto come della nevrosi, Pasolini denuncia con disincanto, nel tempio della borghesia, i frutti di una società in cui la libertà dell’io, come della classe operaia, può solo essere un sogno. Per questo, il riconoscimento, seppur passivo, di una stringente morsa cui è impossibile fuggire, corrisponde così al risveglio in un nuovo mondo in cui la protagonista è capro espiatorio, mal adattabile al totalitarismo sociale, oppressa da una società cattolico-borghese che, anche sul corpo, avanza il suo dominio.
Sfidando degnamente un’opera ardua e di complicata realizzazione, Saponaro ne indaga i gangli e fornisce personali soluzioni, ma più forte di ogni elemento sulla scena resta ancora e colossale proprio il testo. La fedeltà ossequiosa alla forma pasoliniana, in assenza di una decisa impronta, limita parte del processo di astrazione e di sintesi con cui ricomporre, con maggiore forza, il senso di un’opera che ancora oggi continua a parlarci.
Senza prescindere dal Manifesto per un Nuovo Teatro di Pasolini, lasciamo pure alla parola il suo ruolo vettore, considerando però che anche «tradire», almeno nella forma, i grandi maestri è forse un modo lecito per render loro onore.
Ascolto consigliato
Teatro Nuovo, Napoli – 24 febbraio 2016
In apertura: Diego Velázquez Las Meninas (1656), particolare