Jack London amava il pugilato e ne temeva la mortalità. Pensava infatti, decenni prima di Alì e Tyson, del Madison Square Garden e del Caesar Palace, di The Rumble in the Jungle e di Rocky, che stesse «a poco a poco scomparendo». Jack London aveva torto, probabilmente. Ma un secolo dopo, al tempo in cui la crisi non è stato transitorio di difficoltà locali ma categoria ontologica sovraindividuale e condivisa, cifra simbolica della contemporaneità, la Boxe, «nobile arte» sempre di nuovo data per morta, è una bella metafora pronta da raccogliere.
Ecco che quindi al Teatro Quarticciolo debutta – dopo la prima a Modena per il festival Trasparenze – la nuova produzione di Civilleri/Lo Sicco, Boxe attorno al quadrato. Siamo in una palestra buia, corde e luci pendono dal soffitto, sgabelli e secchi per terra. Si aggira nel disordine un ragazzo (Dario Mangiaracina). Sta facendo le pulizie. Di modeste velleità, pare inopinatamente felice.
Gli infelici entrano in scena presto, un sestetto di lavoratori dello spettacolo pugilistico affacciati sul baratro dell’insignificanza, pronti a essere tagliati, sovvenzionati a scadenza: la cassiera e il dottore, la ragazza-ripresa e la ragazza-sgabello, il vecchio pugile ora allenatore, l’arbitro-cronista (nell’ordine: Maria Grazia Pompei, Gisella Vitrano, Stefania Ventura, Veronica Lucchesi, Quinzio Quiescenti, Filippo Farina). Serve un pugile, un pupazzo da mandare in scena un’ultima volta, riempire un ring per salvare la baracca.
Di nobili arti in stato comatoso ne abbiamo quante ne volete, e il riconoscimento è presto fatto. Non si fatica a intravedere fuor di metafora il teatro, con i suoi ruoli definiti, la necessità di perpetuare la recita senza mutare le forme, il vivacchiare sotto l’ombrello di elemosine più o meno illuminate. L’utilizzo dello sport – che è pratica e disciplina del corpo, tra tutti gli ingredienti del teatro di Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco il più rifinito e potente – come specchio del contemporaneo non è per la coppia di registi e attori una novità.
Già in Educazione fisica la dialettica tra il capo e il gruppo della squadra di basket era stato indicato come discorso metateatrale, ma apriva la riflessione a più ampi contesti. Questa volta la sensazione è che la drammaturgia (Enrico Ballardini) sia maggiormente legata ai suoi referenti, nasconda meno i suoi spunti polemici. «Tell All the Truth but Tell It Slant», diceva Emily Dickinson, la verità è poco obliqua, al Teatro Quarticciolo: abbiamo tradito la nostra arte, abbiamo sposato uno status quo infame, abbiamo perso la voglia di rischiare, abbiamo gettato la spugna.
Ma Boxe attorno al quadrato ha qualcosa di obliquo e potente al di là delle sue parole: i tagli di luce (disegno luci di Clarissa Cappellani, Petra Trombini) che descrivono a poco a poco la scenografia (ideata dai due registi e realizzata da Leonardo Bonechi) – ancora più che nel precedente Tandem dispositivo attivo e dialettico con le sue corde e carrucole – la regia di un ensemble di attori che ruotano intorno al pugile stravolti nelle loro maschere, sempre in movimento eppure sempre impotenti. Boxe attorno al quadrato è uno spettacolo in controluce, «a sol y sombra» – come il titolo di uno dei libri sullo sport più belli di sempre, di Eduardo Galeano – che nel gettare ombre lunghe trova il suo senso più profondo, e più luminoso.
Teatro Biblioteca Quarticciolo, Roma – 22 maggio 2015