Lunga vita all’Indie! È proprio il caso di dirlo, soprattutto quando tra la moltitudine di ingombranti titoli – già vecchi prima ancora di raggiungere il pubblico – presentati ai festival si incontrano piccoli e modesti film, magari un po’ old fashioned, capaci di portare nuova linfa ad un’industria che con i suoi remake, reboot e spin off sembra aver esaurito le fonti di ispirazioni. È il caso di Blue Jay, esordio alla regia di Alex Lehman, una commedia romantica indipendente presentata allo scorso Toronto International Film Festival e acquistato da Netflix in seguito alla scarsa distribuzione nelle sale americane.
Amanda (Sarah Paulson) e Jim (Mark Duplass) si reincontrano nel supermercato della loro cittadina natia, dopo vent’anni di assenza. Amanda è tornata in città per assistere la sorella prossima al parto, Jim per sgomberare la casa della madre deceduta da poco. Dopo un iniziale imbarazzo e una reciproca difficoltà nel relazionarsi, i due vecchi amici si spogliano di ogni formalità per tornare, almeno per un giorno, a ripercorrere e a rivivere la spensieratezza della loro adolescenza.
Blue Jay è un film di quarantenni e per quarantenni, la rappresentazione di una generazione imprigionata in un limbo, a metà tra la freschezza e la spensieratezza sognante di una vita che a vent’anni sembra poterti offrire solo il meglio, e la consapevole, ordinaria monotonia di un’esistenza ormai costruita e saldamente cementata in cui i sogni sono stati rimpiazzati dagli obblighi e l’ingenua freschezza dal dolente e scomodo senso del dovere. Amanda e Jim trovano il coraggio di lasciarsi andare, di riaprire il vecchio armadio impolverato, stracolmo di bei ricordi – non solo metaforicamente – e di tornare a respirare a pieni polmoni la bellezza di un passato sepolto.
I due protagonisti rimettono in scena la loro adolescenza, il loro mondo dorato in cui interpretavano Mr e Mrs Anderson, la coppia più felice ed innamorata che avessero mai conosciuto, tornano indietro nel tempo e si osservano da un’altra prospettiva, si giudicano, si disprezzano, piangono per i loro fallimenti e rimpiangono le occasioni andate perdute.
L’esordio di Lehmann si colloca alla perfezione all’interno di quel cinema indie che racconta con estrema semplicità la quotidianità della classe media americana. Mette in scena le vite di due falliti qualunque in maniera limpida e pulita. Aiutato dalla sceneggiatura scritta dallo stesso Duplass, rimuove qualunque segno di eclettismo e di nervosismo delirante delle icone hipster alla Noah Baumbach e Wes Anderson, sceglie una realtà di provincia genuina, ingenua, solo marginalmente intaccata dall’ipocrisia dilagante della vita metropolitana e la esalta con l’uso del bianco e nero . Il colore vivace e persistente lo creano e lo distribuiscono eterogeneamente i due attori con il loro enorme talento e la loro abilità di improvvisazione.
Blue Jay nella sua unicità e nella sua originale linearità dimostra quanto il cinema, raccontando una storia comune e scontata, possa conquistare il pubblico ricordandogli come la bellezza e l’arte possano risiedere nelle piccole cose che scandiscono i secondi, i minuti e le ore del nostro quotidiano.