Belluscone. Una storia siciliana – Franco Maresco
Franco Maresco è tornato. Finalmente. Il regista palermitano in coppia con Daniele Ciprì ci ha regalato una delle esperienze chiave del cinema italiano degli ultimi vent'anni: da Cinico Tv ai tre lungometraggi la loro è stata la più radicale, anarchica, dirompente aggressione della televisione a se stessa, dell'arte alla chiacchiera, della creatività orrenda all'orrore patinato del luogo comune teletrasmesso. Dopo la fine del sodalizio, Maresco, che della coppia era la mente drammaturgica, il proprietario dell'incalzante voce che fuori campo interrogava i poveri cristi di Cinico Tv, è sparito dai radar. Il film presentato in concorso a Orizzonti dà anche una risposta a chi si chiedeva come avesse impiegato il suo tempo.
Belluscone. Una storia siciliana era un progetto cui Maresco stava lavorando nel 2011: un'indagine sulle radici del legame tra Silvio Berlusconi e la Sicilia, la regione in cui il suo partito arrivò al punto di conquistare in una tornata elettorale tutti i seggi disponibili. Radici che è andato a cercare nell'ambiente dei concerti di piazza neomelodici, per conoscere artisti, pubblico e il principe degli impresari palermitani: Ciccio Mira. Ma il progetto pare essere andato a rotoli e Maresco è sparito. Un suo amico, il critico Tatti Sanguineti, scende a Palermo per trovarlo, citando amaramente Marx: «mai fidarsi del sottoproletariato».
A Venezia vediamo l'annunciato documentario sui neomelodici e sui legami tra la mafia e Berlusconi che però è anche un mockumentary sul fallimento della sua stessa produzione. Dov'è la realtà e dov'è la finzione? Nel 1992 a Cinico Tv la voce di Maresco interrogava la testa di un uomo sporgente da una buca nell'asfalto: «Chi è lei?» «Sono un'autobomba, mi ha appena piazzato la mafia, sto aspettando un giudice». Era un'astrazione, arte. Ma era anche cronaca nerissima. Dopo vent'anni, i mostri hanno divorato la cornice, hanno invaso le strade, hanno acquistato il colore e il movimento di macchina. Ora Maresco ci nega la consolazione del filtro. Ci urla che quella Palermo lo ha ingoiato, che c'è un mondo in cui la mafia è l'unica istituzione sociale sovraindividuale riconosciuta: non solo Dell'Utri– c'è anche lui, dice una cosa importantissima ma il fonico ha toppato l'audio - o il vecchio Mira - l'unico in bianco e nero, l'unico che potremmo vedere bene con Paviglianiti, Miranda, Rocco Cane e gli altri -, ma le ragazzine, i cantanti, le gente in discoteca, persone reali qualunque cosa questo significhi.
Alla fine la domanda su cosa sia vero e cosa no è la più stupida che ci si possa fare. Si ride dalla disperazione. Si piange dalla felicità di assistere al ritorno di un artista come ce ne sono pochi in questo paese. Si trema guardando l'abisso. Ci si lascia cullare dallo sguardo che l’abisso ci restituisce. Non te ne andare più Franco.