L’enfant prodige di Hollywood, Steven Sodebergh continua il suo personalissimo viaggio attorno alle immagini e alla loro rappresentazione. Questa volta il pretesto/punto di partenza è la storia di quella che può essere considerata la prima rockstar della storia, Liberace. Prima di Elvis, prima di Elton John, Madonna e Lady Gaga, c’era lui; virtuoso pianista, intrattenitore scandaloso e stella fiammeggiante di teatro e la televisione. Liberace che vissuto generosamente e abbracciato uno stile di vita di eccessi dentro e fuori lo schermo. Nell’estate del 1977, il bel giovane sconosciuto Scott Thorson entrò nel suo camerino e, nonostante la loro differenza di età e di mondi apparentemente diversi, i due intrapreso un cammino segreto di cinque anni d’amore.
Quello che potrebbe essere il punto debole del film è la sua struttura prevedibile e convenzionale, ma Soderbergh è ancora in grado di dare vita a tutto ciò con una regia sempre in movimento, capace di cogliere qualsiasi bagliore di luce ed attraverso un montaggio denso e stratificato. La scelta di puntare su un intenso periodo di vita di Liberace è anche molto più rivelatrice di un film che potrebbe aver cercato di coprire tutti i 67 anni della sua vita. E ‘un film che cammina costantemente una linea sottile tra lo scintillante personaggio pubblico e gli psicodrammi umani di una delle prime vittime della mediaticità
Al centro del film ci sono le due splendide performance di Michael Douglas e Matt Damon. Soprattutto è Douglas a dar ritmo al film riuscendo a trovare l’uomo dietro a un personaggio che avrebbe potuto facilmente essere un mostro. Il suo comportamento avrebbe potuto travolgere il film, ma l’intesa con Soderbergh è perfetta. Doveva essere un bio-pic prodotto dalla HBO ma tutto ciò pare essere molto di più, a partire dalla favolosa colonna sonora e dalle continue invenzioni visive. E’ un film rivelatore, toccante, costantemente coinvolgente, ennesima dimostrazione di maestria nella carriera lunga e variegata di Soderbergh.