Beautiful Boy
Un film che mostra la difficoltà dei rapporti familiari, delle ferite della psiche e un generale senso di relativismo della realtà sociale.
Beautiful Boy si apre con una sequenza drammatica, un padre, David Sheff (interpretato da Steve Carell) che cerca disperatamente di capire “tutto ciò che c’è da capire” sulla dipendenza dalla metanfetamina di suo figlio (Nic Sheff interpretato dall’oramai noto Timothée Chalamet). Questa breve sequenza – poi ripresa e completata durante la narrazione – può essere una buona sintesi del film di Felix Van Groeningen che oscilla tra tragedia umana e vita ordinaria. Il film racconta la vita di Secco (così chiamerò Nic Sheff) e suo padre, che sin dall’infanzia riescono ad avere un rapporto sereno ed equilibrato se non per qualche eccesso d’amore che il padre gli riserva rendendolo un ragazzino un po’ ansioso. Ma divenuto adolescente Secco rimane chiuso in casa, scrive, disegna e poi comincia a farsi pesantemente di droghe, passando dalla cannabis alla cocaina per approdare all’eroina. Una delle domande che cerca di porre il film ma senza dare – giustamente – una risposta o sollevando un interrogativo esplicito è come sia possibile che un buon padre come David abbia cresciuto un figlio tossicodipendente nonostante un’infanzia tutto sommato felice.
Sarà il divorzio con la madre? Sarà l’eccessiva premura con la quale il padre è rimasto vicino al figlio? Il film non da una risposta e come in tutte le buone tragedie non sono gli Dei (e nel nostro caso possiamo dire il regista) a dare le risposte ma lo spettatore che osserva e interpreta il dramma di una famiglia normale. Felix Van Groeningen è sicuramente attratto dal tema della responsabilità, già in The Broken Circle Breakdown (2012) due genitori si trovavano con la morte della figlia sulle spalle per poi rinfacciarsi vicendevolmente le colpe ma il regista non giudica gli individui perché inserisce all’interno della tragedia fenomeni di contingenza. In Broken Circle la figlia si ammala di tumore al cervello e il dramma si sviluppa sul senso di perdita ed elaborazione del lutto sia sulle responsabilità dei genitori. Chi è il responsabile se non “Dio”?(contro cui il padre inveisce), oppure sono gli stessi genitori distratti riguardo la salute della bambina? (nel film i due si rinfacciano nei modi più ingenui e disperati le cause che potrebbero aver ucciso la figlia, incolpandosi vicendevolmente). Ecco, la tragedia che si ripresenta in Beautiful Boy è molto simile e va oltre le responsabilità degli individui perché è investita dal caso. Secco è un bravo ragazzo, ha l’opportunità di andare al college, di vivere una vita normale (ma felice) eppure qualcosa va storto. Al di là del messaggio statistico del film e di cui possiamo riconoscere l’importanza – la morte per overdose negli Stati Uniti è la seconda causa di morte sotto i cinquant’anni – il messaggio morale di Felix potrebbe essere anche quello di non dannarsi per le responsabilità, perché seguendo l’ironica legge di Murphy se qualcosa può andare storto lo farà. In questo caso, nonostante ci siano le premesse per una vita felice l’evento disastroso potrà presentarsi anche al primo tentativo (con la vita del figliol prodigo Secco). Felix Van Groeningen sembra indicarci che possiamo provare ad essere dei bravi genitori, possiamo aiutare i nostri figli a crescere nel modo migliore ma l’individuo è qualcosa a sé stante con la sua mente e i suoi problemi.Una frase in particolare detta dal padre mentre guarda oramai perso e disperato l’orizzonte dei suoi tentativi falliti sembra suggerirci una risposta: “non credo tu possa salvare le persone”.
Al di là di questi temi la sceneggiatura è approfondita abbastanza bene e incarna un più generale disagio generazionale dell’adolescente di oggi e nello specifico di quello benestante; non è difficile individuare la vantaggiata classe sociale a cui appartiene Secco, con il padre che scrive per la celebre e affermata rivista dei Rolling Stones e una madre che conduce un’agiata vita in San Francisco. La tragedia che Felix mette in mostra è quella di una nuova generazione, quella che frequenta l’università ma bazzica senza una direzione. Questa mancata direzione può essere soddisfatta con la ricerca di una qualche altra felicità, che nel caso di Secco viene trovata nelle droghe e nell’orgasmo moltiplicato dell’effetto metanfetamina. Gli adolescenti del film sono di fatto tutti degli spossati, tanto la fidanzatina di Secco quanto una ragazza che il padre incontra per strada (che per inciso fa la prostituta). È interessante notare che questo regista belga parli di un problema grave degli Stati Uniti ma che riguarda in fondo anche gli adolescenti dei Paesi Ricchi. Il problema non tanto della droga – che è il palliativo per la ferita – ma dell’assenza di gioia e di serenità, se guardiamo per esempio agli indici di felicità mondiali (a tal proposito mi attengo all’Happy Planet Index che stima la felicità del pianeta ma anche alla riflessione proposta da Stefano Bartolini nel Manifesto della Felicità, docente di economia a Siena che mostra come nonostante l’aumento di beni di consumo negli Stati Uniti diminuisca proporzionalmente la felicità dei cittadini). Al di là degli intenti del film di Felix quello che possiamo vedere noi come spettatori è questo senso della malattia, intesa come morbo cronico che perdura per tutta la vita attanagliando il futuro dei più giovani. In effetti Secco è malato, depresso, non riesce ad uscire dallo stato di malattia se non per brevi periodi di serenità a cui seguono continue ricadute (lui stesso dice, “Non è come avere il cancro”). La soluzione non è facile ma lo stesso Felix ci suggerisce qualcosa quando pensiamo oramai che la vita di Secco sia finita (proprio negli ultimi minuti di film); in un certo modo la tragedia non è avvenuta perché Secco è ancora vivo. Il senso di morte rimane, ma questi due individui si supportano ancora e si vogliono bene, cioè cercano di resistere nonostante le difficoltà.
A chiudere il cerchio, e questo è veramente il buon auspicio del regista è la citazione di Bukowski che sentiamo alla fine dei titoli di coda; a circa metà film sentiamo Secco leggere al college un estratto di Bukowski ma il passo recitato fa parte di una frase molto più lunga e complessa che Secco sceglie deliberatamente di omettere. Alla fine dei titoli ricompare in voice over la voce di Secco che completa il passo di Bukowski, da cui non traspare più solo odio e disperazione ma una forma di speranza e tranquillità. Per concludere potremmo dire che in Beautiful boy viene mostrata la difficoltà dei rapporti familiari, delle ferite della psiche, e un generale senso di relativismo della realtà sociale. Gli altri possono aiutarsi vicendevolmente ma senza pretendere di fare dell’aiuto un soccorso costante perché spesso si ottiene il risultato contrario. Un ulteriore interrogativo presente verso la fine del film chiarisce la questione quando Secco chiama disperato suo padre in seguito all’overdose della sua amica: “Ti prego papà, aiutami” e il padre risponde – pure soffocato dal dolore ma determinato – che non può permettergli di tornare a casa per aiutarlo. In quel momento, David ha aiutato suo figlio oppure no? Qual era la scelta giusta da fare?