Neo-neorealismo
Con questa etichetta si tentava di codificare il cinema di Marco Risi, quello di film come Mery per sempre o Ragazzi fuori: depravazione, miseria e deriva sociale fermati dalla macchina da presa sui quei volti di ragazzi amaramente «normali», che costringevano lo stomaco dello spettatore a torcersi per la nausea—e per la rabbia.
L’effetto di Battuage – secondo lavoro della compagnia Vuccirìa Teatro – è molto simile: se nel precedente Io mai niente con nessuno avevo fatto erano (in qualche modo) i sentimenti a muovere il racconto scenico, qui sono le distorsioni socio-sessuali del nostro tempo ad invadere il Teatro dell’Orologio.
Siamo in una latrina (scene Giulio Villaggio): sei «cessi», sei incubatrici degli eccessi che i protagonisti utilizzano come camerini da cui si riversa l’umanità iper-reale di Battuage.
Salvatore ha lasciato la provincia siciliana per rincorrere la sua natura e liberarsi finalmente del bigottismo patito «giù in paese». Qualcosa però non ha funzionato e quei sogni di libertà si sono corrotti. La smania di diventare una «star» per accontentare la rivalsa sociale di una madre-magnaccia lo ha trasformato nella diva della prostituzione omosessuale: un palcoscenico di strada in cui unica vera protagonista è la perversione più istintiva e feroce.
A contendersi le luci della ribalta di questo show-biz del vizio carnale sono allora «gli storpi del sesso»: gay reietti, puttane dell’est in balìa della crisi di mercato, trans che cercano tra quei pubi sbagliati un ritaglio di verità. Ecco dunque che in questa via della consolazione corporale trovano rifugio i «verginelli» alla ricerca di cinquanta sfumature di rivincita e i maritini repressi che davanti a Dio giurano purezza ma poi, dietro al Signore, si ingozzano di sconcezze.
Attraverso i corpi vibranti, lividi e indifesi di Anastasi, Sortino, Leonardi e Carruba Toscano, trasuda così l’orgasmo del dolore: indigestione di quel sesso che – citando Pasolini – è consolazione della miseria.
Storie di lacerazioni profonde che il teatro contemporaneo tenta di ricucire e disinfettare. Torna, allora, alla mente Emma Dante, per la musicalità vernacolare del dialetto siculo e, soprattutto, per la ricercatezza formale del racconto scenico: due transessuali eseguono una lenta coreografia, coming out dello spirito, mentre si riconoscono come mostri, «merde» nella «merda»; e sembra, altresì, di assistere alle provocazioni di Ricci/Forte quando in scena si consuma il rito sacro per eccellenza: il matrimonio, unione che si monda da ogni ipocrisia attraverso sincere promesse di dolore e tradimento, «adesso e ora per la nostra morte». Amen.
Già, la Morte. Colei che arriva puntuale in Battuage a ripulire tutto. Eros e Thanatos ancora a braccetto, mentre gli spettatori, proprio come in un film di Marco Risi, si ritrovano sbattuti come «ragazzi fuori».
Be You, Teatro dell’Orologio, Roma – 24 febbraio 2015