Foto di scena ©Manuela Giusto

Autodiffamazione – Werner Waas & Lea Barletti

La nudità come metafora del venire al mondo. Così si presentano in scena Werner Waas e Lea Barletti: nudi – letteralmente e in senso figurato -, scrutando il pubblico con uno sguardo naif, curioso, come se anche gli spettatori dovessero abituarsi a quella nudità primigenia e liberarsi a loro volta di ogni orpello, per poter assistere, senza filtri, allo spettacolo di un Uomo e una Donna, odierni Adamo ed Eva, alle prese con il Verbo, con la conoscenza di sé e del mondo. Questo il testo di Peter Handke, Autodiffamazione, riportato in scena da Waas e Barletti al Teatro Argot per la rassegna di Dominio Pubblico La terra sonora – il teatro di Peter Handke.

Si parte dalle origini: “Io sono venuto al mondo”, “Io sono stato concepito”, “Io sono stata partorita”; e attraverso una fitta costruzione monologica a ritmo alternato, gli attori si ritrovano man mano a scontrarsi con le convenzioni sociali. È questo l’aspetto più “politico” del testo: la contrapposizione tra l’istinto alla libertà dell’io e le norme imposte dalla società. Poi i due individui si rivestono, come se il linguaggio fosse un abito – per dirla con Werner Waas – che indossiamo per nascondere la nostra vera intimità, una gabbia imposta dall’esterno che non ci rappresenta ma da cui è impossibile fuggire. Così le autodiffamazioni si susseguono: un Ich anaforico che si fa mantra ossessivo e che arriva a toccare complessi nodi esistenziali come la solitudine interiore, i rimpianti taciuti, e quel potenziale interiore che ormai sembra tramontato.

Il rischio di trasformare il testo in un freddo elenco di frasi compiute è scongiurato dalla regia di Barletti e Waas, rigorosa ed essenziale, che manifesta la sincera volontà di giocare con le varie possibilità delle due lingue. Entrambe gli interpreti, infatti, ricorrono alla propria lingua madre: i sovratitoli in tedesco e in italiano rimandano continuamente a ritmi e sonorità profondamente diverse tra di loro. L’incisività e la precisione della sintassi tedesca si contrappongono alla caotica musicalità dell’italiano; sono sfumature che si riflettono anche nella recitazione degli attori: più empatica ed estroversa lei, più riflessivo e riservato lui, entrambi estremamente accattivanti grazie a una recitazione spontanea, spoglia di sovrastrutture, nonché volta a restituire con grande umiltà e accuratezza la misurata eloquenza delle parole di Handke.

Uno spettacolo-studio in cui la riflessione metalinguistica rappresenta l’azione stessa, dove il linguaggio di Peter Handke viene esplorato e scomposto fino a svelarne l’autoreferenzialità. Un linguaggio, insomma, che si fa portavoce dell’universalità delle esperienze umane: proprio come la scritta finale, che ci rende tutti partecipi della stessa storia – sono venuto al mondo.

Teatro Argot, Roma – 22 novembre 2014

In apertura: Foto di scena ©Manuela Giusto

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