Foto ©Beatrice Buzi

Mors tua vita mea: Roma corrotta

'Ascoltate' le cartoline di Menoventi

 

Roma è corrotta, lo è profondamente, lo è continuamente. Non ha neanche più bisogno del denaro per vendersi e con questa paciosa remissività irradia un pessimo esempio a livello nazionale. Ma si badi bene la corruzione è come una malattia, attacca i sani, i fragili, gli insicuri: il corrotto non è un criminale incallito, è qualcuno che sottovaluta il proprio cedimento, convinto che in fondo la sua sia una leggerezza da poco.

È così che la peste si espande a macchia d’olio, perché nessuno sente davvero il peso della propria responsabilità: il mozzicone per terra, il biglietto non pagato, la cresta sullo scontrino fino alla truffa aggravata; ognuno giustificato dallo sconforto dell’abbandono  in cui si sente gettato. Finché a Roma non si riconosce che tutti quanti sono collusi, la corruzione rimarrà una piaga endemica e la città continuerà a soffrirne. Edulcorare non serve a nulla, minimizzare tanto meno. La colpa è colpa, e tutti ne hanno una.

In questo clima uggioso, i faentini Menoventi approdano alla Capitale non per presentare un nuovo spettacolo ma per regalare una bella doccia fredda. Per un mese, infatti, la compagnia ha proposto ad alcuni turisti giunti all’Urbe dei brevi questionari sul gradimento della propria permanenza romana: sono le “Cartoline da Roma” di Ascoltate, prima tappa di un’indagine performata che toccherà altre città italiane. Ci si potrebbe aspettare uno spoglio delle risposte e, certo, in parte è così, ma mai fidarsi troppo: i Menoventi agiscono sempre là dove tutto sembra familiare, infondendovi poco a poco la loro scossa perturbante.

Consuelo Battiston compare, infatti, con semplicità, aria timida, zaino in spalla, abiti da turista, ma bisogna far caso ai particolari: sulla maglietta è stampata una bocca della verità e la piattaforma quadrata, pulpito laico (scene Laura Bulzaga), su cui salirà per rispondere ai quesiti (dettati da una voce fuori campo) ha l’aspetto di una lampada similsvedese in carta di riso. Ecco, finalmente si fa un po’ di luce; si pronuncia una verità; ascoltate.

I commenti dei turisti per lo più non sono una novità: il fascino dell’arte, il buon cibo, il problema dei mezzi, le code, la simpatia e l’arroganza dei romani, le sorprese e le truffe, insomma la Roma croce e delizia che bene o male tutti conoscono. Ma di risposta in risposta il clima cambia (progetto sonoro Mirto Baliani), le luci creano ambiguità prospettica, si spalanca la dimensione più morale della città: Battiston (talento raro e prezioso della scena italiana) comincia ad assimilare il disagio delle risposte, lo esaspera, si fa luciferina e dolente, fino ad incarnarsi in una sorta di pasquino animato che dà voce a un sentimento diffuso. L'amarezza.

“«Se fai una pizza di merda” citiamo a braccio “non sei un ladro, sei solo uno stronzo». Eccolo il più sentito ed efficace antidoto alla corruzione, l’indignazione sincera, che – vale la pena ricordarlo – non è la rabbia o il disprezzo, ma un moto interiore di rifiuto, indignarsi vuol dire “non reputare degno, accettabile”. Ed è certamente significativo che a indignare i turisti sia molto spesso l’arroganza romana (declinata in tutte le salse).

Ora, l’arroganza è sempre frutto di insicurezza e di egocentrismo protettivo, quindi è chiaro: il problema principale di Roma è che soffre di individualismo.  Un individualismo sempre più cinico, diffidente, che in carenza di tutele (sociali, culturali, politiche, governative) torna a rispondere alla legge del Mors tua vita mea, favorendo pertanto tutti quei micro e macro sistemi mafiosi (dal condominio alla malavita organizzata) che di anno in anno vengono inevitabilmente a galla. Roma è così corrotta perché è drammaticamente divisa. Etimologicamente, d’altronde, corrompere sta per “mandare in frantumi”, cosa? La moralità ovviamente.

Ed è un problema estremamente sottovalutato. Il disagio a Roma persiste perché non si riesce a creare tessuto sociale, a tracciare un progetto condiviso. Quando messo di fronte ai fatti, soprattutto se da qualcuno che viene da fuori, il romano infatti nicchia: «“E va be’”», “«Che sarà mai”», “«Tanto rubano tutti»”, “«Se tte ‘ncazzi e poi te scazzi è tutto ‘n cazzo che tte ‘ncazzi»”. Minimizzando ci si deresponsabilizza, i problemi rimangono, e tutto si ripete ancora una volta.

C’è da augurarsi davvero allora che il Tevere esondi e faccia tabula rasa, come propone il caustico intervento di Vittorio Giacopini (interrogato come testimone romano)? Chissà, forse il vero dramma è proprio questa apocalisse sempre imminente e mai realizzata.

Roma però è molto di più delle sue tare collettive, e ce lo mostra la regia di Gianni Farina chiudendo con l’immagine traslata di una fontana che di notte all’improvviso si agita risputando via tutti i soldi. Qualcosa vibra, qualcosa sotto pulsa ancora. O come ricorda una delle ultime cartoline: «“Forse non avete davvero capito dove vivete [……] avete la bellezza sotto la vostra responsabilità”.»

Allora ascoltate romani, ascoltate. Se perfino una compagnia pregevolmente sperimentale come i Menoventi si imbarca in un’impresa lucidamente politica accantonando con coraggio ogni complessità estetica, forse sarà davvero il caso di ascoltare. Di ascoltare e di riconoscere le proprie responsabilità. Di smetterla di prendere a modello chi fa peggio solo per apparire migliori. Di fare una seria e costruttiva autocritica. Ascoltate romani, ascoltate.

Ascolto consigliato

Teatro Vascello, Roma – 5 novembre 2015

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