sonia braga

Aquarius – Kleber Mendonça Filho

Recife 1979. In uno dei tanti appartamenti che costellano il lungomare della capitale della regione di Pernambuco, nel Nordest del Brasile, si festeggia il settantesimo compleanno di zia Lucia (Thaia Perez), donna rivoluzionaria ed iconica per il Paese così come modello per la nipote Clara. Una dissolvenza incrociata riporta lo spettatore al presente, in quella stessa casa dove trent’anni dopo, Donna Clara (Sonia Braga), benestante vedova ed ex giornalista musicale, ormai 65enne, che ha però mantenuto ancora intatto il proprio fascino ed eleganza, risiede, da sola con la domestica. Il complesso residenziale, di nome “Aquarius”, dove ha cresciuto i tre figli, è rimasto completamente disabitato, acquistato da una grossa compagnia edilizia il cui progetto consiste nel demolire lo stabile, risalente agli anni Quaranta, per costruire un condominio più lucrativo e moderno. Diego (Humberto Carrão), giovane e ambizioso ingegnere edile, appena tornato dall’America dove ha studiato marketing e, probabilmente, violenza psicologica, è disposto a tutto pur di comprare l’appartamento di Donna Clara, in modo da far partire il progetto di cui è a capo e impressionare in questo modo il padre. Nonostante i figli spingano la madre a vendere, data anche la cospicua offerta, la donna sembra rimanere ferma nelle proprie scelte, rifiutandosi di abbandonare il proprio santuario, un luogo a cui sono legati i suoi ricordi più significativi.

Presentato in concorso al Festival di Cannes, Aquarius conferma il talento del regista brasiliano Kleber Mendonça Filho, ex giornalista e critico cinematografico, alla seconda prova nel lungometraggio di finzione, dopo aver raccolto plausi e premi grazie al precedente Neighboring Sounds (O Som ao Redor, 2012). Entrambi i film si aprono con lo scorrere di immagini di repertorio concernenti il passato, quello coloniale nel primo, e quello del boom economico nel secondo. Una città, e un paese, che vive di contraddizioni, in cui distese di grattacieli identici, vere e proprie prigioni di cristallo, con nomi esotici, dove la middle class vive asserragliata per difendersi dal mondo esterno, dominano il porto e il lungomare, e le cui ombre proiettate oscurano non solamente l’Oceano Atlantico ma la disuguaglianza sociale e la povertà urbana delle favelas.

Contrariamente a Neighboring Sounds, che era costruito sulla linea sottile che distingue la sicurezza dalla paranoia, mettendo in scena contrasti e minacce tra inquilini di un complesso residenziale, Aquarius, non rinunciando, tuttavia, ad alcuni momenti di tensione, predilige un racconto intimo e personale. Il film infatti è cucito sulla pelle della propria protagonista, ad immagine e somiglianza di una meravigliosa Sonia Braga, una donna combattiva, libera, anticonformista, sopravvissuta al cancro al seno, che vuole rivendicare le proprie libertà, tra cui quella sessuale. Il film non ha un registro preciso, non è esclusivamente un’indagine etnografica, uno spaccato della società civile che mostra una generazione corrotta dal denaro, l’ipocrisia della piccola e media borghesia, la criminalità e delinquenza dei sobborghi così come non è un thriller politico sulle speculazioni edilizie. Nonostante affronti queste tematiche, in maniera più o meno centrale o tangente, Aquarius, procedendo lento ed elegante, solido e tenace, incarna l’identità della sua protagonista, che si configura con l’appartamento in cui vive, con i muri, con i mobili, con gli oggetti della propria casa.

Un’opera che riesce a dare vita e valore agli spazi che conservano e custodiscono la memoria, luoghi minacciati dal trascorrere del tempo, dal deterioramento fisico, a cui bisogna rimanere aggrappati con decisione e forza d’animo.

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