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‘Apple mania’ o ‘Apple follia’?

(articolo tratto da www.4rum.it il sito partner di Paper Street)

In principio fu l’iPod.

Inutile negare che è questa la chiave di volta che spinge la Apple da società attenta a centinaia di migliaia di consumer in cerca di prodotti qualitativamente superiori alla media, a società con milioni di ordini per un pubblico diverso e variegato.

Andate a chiedere a chi possedeva azioni Apple nel 2001, cos’è accaduto dopo il 21 aprile di quell’anno in seguito alla prima presentazione del progetto iPod.

Con la nascita di questo apparecchio, la Apple acquisisce istantaneamente due meriti: il primo di aver rivoluzionato il modo di concepire la musica in movimento, il secondo di aver creato ‘il prodotto perfetto’ poiché amato da tutti. Dai maschi e dalle femmine, da quelli di destra e di sinistra, da giovani e meno giovani, dai global e no-global, da quelli che adorano il consumismo e da quelli che a cose normali indossano Adidas e non Nike, fanno la guerra alla Sony e alle altre grandi multinazionali mangiabambini ma che per l’occasione riescono però a chiudere un occhio, convincendosi forse che la società di Cupertino sia in realtà una piccola azienda a conduzione familiare e che il prodotto che tengono infilato nella tasca dei pantaloni peruviani comprati ad un mercatino ecosolidale, grazie al quale possono ascoltare ovunque i Modena City Ramblers, sia stato realizzato a mano da nonno Jobs e da tutti i suoi nipoti mentre cantano ‘ehi-ho! ehi ho!’ come i sette nani… Non pensano certo che in realtà venga realizzato dagli stessi operai cinesi i cui diritti stanno loro tanto a cuore in altre circostanze.

Ad un prodotto così ‘cool’ si perdona tutto. Il prodotto perfetto, quindi, in grado di sconvolgere ogni tipo di preconcetto, di barriera e soprattutto di coerenza.
Beh, ad onor del vero già diverse aziende si stavano cimentando nella realizzazione di più o meno rudimentali apparecchi per la fruizione musicale priva di supporto (se non l’hard disk stesso), ma con iPod la Apple riesce a coniugare tre fondamentali elementi: qualità, innovazione e moda.

Moda: termine che a Jobs e ai suoi advisors sta a cuore più che a Dolce & Gabbana.
Da quel momento in poi è una escalation alla conquista dei mercati, con prodotti sempre migliori, più innovativi, più leggeri, più performanti sulla scia di questo straordinario filone.

La Apple smette di produrre oggetti semplicemente e potenzialmente utili e inizia a sfornare dei veri è propri ‘Must’. Dei veri è propri status symbol contemporanei: negli anni ’80 della Milano da bere un manager non era tale senza orologio sul polsino e gemelli Gucci? Oggi non lo sarebbe senza il suo prezioso gingillo Apple. E non vale solo per i manager ovviamente. Chiunque è potenzialmente un ‘tossico Apple’ sempre in attesa della prossima dose di adrenalina provocata dall’uscita del nuovo e migliore prodotto.

Attenzione però, perché stiamo permettendo loro davvero qualsiasi cosa.

Il fattore ‘Microsoft’
Quand’è che un’azienda passa dall’essere amata e rispettata, all’essere odiata e criticata? Quando impone la propria egemonia in maniera torbida e scorretta che, a torto o a ragione, rimesta radicalmente l’opinione pubblica a lei rivolta.

E’ il caso ad esempio di società quali Nestlè, Nike e, più nello specifico della Microsoft: stimata da molti ma odiata da moltissimi per i suoi comportamenti spesso valutati poco ‘giusti’ che negli anni ne hanno rafforzato ma reso più sporco il proprio assoluto monopolio in ambito informatico.
La Apple di questo ha sempre beneficiato, ritagliandosi uno spazio preciso come ‘antagonista buono’ di questa oscura corazzata. Ha così forgiato un proprio esercito di fanatici che attaccano l’adesivo della mela dietro l’auto e difendono a spada tratta l’operato di Jobs e compagni. Ad ogni costo: letteralmente.

Ma cosa succede quando il più debole diventa il più forte e dal più forte acquisisce i peggiori metodi di conquista?
Avendo acquisito una clientela principalmente di massa, Apple non si aspetta che essa sviluppi una ‘coscienza critica’ nei suoi confronti. E fa bene, perché tanto quella non lo fa sul serio.

Alla maggior parte dei clienti non importano determinate ‘pecche’ perché o non le conoscono, o non le capiscono e se le capiscono sono disposti a non tenerne conto in funzione della mania. Succede lo stesso in ogni grande scalata al potere: è successo con Microsoft, è successo con Google e sta succendendo con Facebook: lentamente Microsoft è sprofondata nelle critiche, Google ha perso una buona parte di credibilità e di aura positiva dopo molteplici notizie, ad esempio, di posizioni scorrettamente predominanti in ambito pubblicitario e assolute violazioni della privacy. Facebook vive adesso il suo apice di splendore come Apple, ma che succederebbe se lentamente noi della mandria iniziassimo a sviluppare la sopra citata ‘coscienza critica’? Ogni allevatore sa che le mandrie funziono per influenze collettive: l’euforia provoca altra euforia così come la paura sortisce paura.
Che succederebbe se la mandria iniziasse a valutare determinate ‘pecche’?

Le pecche di Apple che la nostra superficialità ha trasformato in loro punti di forza.
Alcuni giorni fa, in attesa dell’uscita del nuovo iPad, che io stesso ho intenzione di acquistare, cerco di informarmi su vari siti e blog specializzati. Su uno di essi trovo il video di un tipo che sull’orlo dell’orgasmo, filma eccitato l’apertura della scatola contenente l’iPad appena recapitatagli a mezzo corriere: assuefatto in un estasi che sfiora la pornoapplemania, decanta come doti assolute tutto ciò che io reputavo in quel momento, osservando il filmato, una serie di notevoli carenze: all’interno della scatola (oltre ovviamente all’iPad) si trova solamente l’alimentatore, il cavo per il collegamento del dispositivo al computer e una sorta di bustina contenente probabilmente il manuale. Basta. Il tizio in questione decanta la cosa come un esempio eccellente di ‘stile minimalista Apple’. Stile minimalista? Avete idea di quanto abbia risparmiato la Apple a non inserire niente in più, come ad esempio gli auricolari (che sono prontamente venduti tramite l’Apple store)? Ad un’altra società realizzatrice di prodotti analoghi concederemmo il beneficio di considerare che quella scelta sia puro minimalismo piuttosto che mera e semplice avidità?

Inoltre analizzando l’iPad ci troviamo sicuramente di fronte ad un prodotto eccellente, di ottima fattura e sicuramente innovativo, ma, continuo a chiedermi, quale altra società non sarebbe stata crocefissa per aver realizzato un simile oggetto senza una connessione usb oggi ormai indispensabile per chi fruisce informatica? E che dire della mancanza di una webcam?
Com’è possibile che un simile oggetto, realizzato per la più totoale interazione fra mobilità e connettività, non annoveri fra le sue minime caratteristiche una miserissima webcam? Nessuno se ne esca con motivazioni tecniche perché sarebbe un ossimoro clamoroso.
Diciamo più probabilmente che magari potrebbe venir immessa sul mercato una webcam esterna da acquistare separatamente? Magari pochi mesi prima dell’uscita della seconda versione di iPad che potrebbe prevederne una di default? E’ vero: è evidente che con i se e i ma non si va lontani, ma le certezze circa le carenze di questo prodotto sono altrettanto evidenti.

E ancora, provate a pensare come reagireste se dopo aver acquistato una semplice ‘chiavetta usb’ doveste rendervi conto che il trasferimento dei files è permesso (agevolmente quantomeno) solo tramite l’utilizzo di uno specifico software? La riterreste o meno un’assoluta forzatura? E’quel che succede con i prodotti Apple e il suo iTunes.

Inoltre, dobbiamo pagare noi per le scaramucce fra Apple e Adobe? Dobbiamo subire noi acquirenti le politiche che hanno provocato la ‘messa al confino’ del comunissimo Flash, che come ben noto non ‘gira’ su iPhone e tantomeno su iPad?
Un fanatico Apple giustificherebbe la cosa dicendo probabilmente che è giusto così, dato che ogni società fa il proprio interesse. Sbagliato. Non per un principio idealista, ma per una precisa legge di mercato in base alla quale ogni società deve, se tiene al proprio fatturato, mettere al primo posto le esigenze dei propri clienti. Perché uno che spende da 499 a 799 € (ovviamente accessori esclusi) per acquistare un prodotto con cui navigare in internet, non può visualizzare una enorme quantità di contenuti online per via della politica aziendale di chi produce l’apparecchio stesso? E’ come se con una sim Vodafone non si potesse chiamare un numero Tim. E’ pura aberrazione. Nel momento stesso in cui mi connetto ad un sito il caro iPad diventa solo un mezzo, non il fine. Un mezzo parziale ed imperfetto quindi.

Accettereste mai acquistando un qualsiasi pc che quel particolare modello, quel particolare pezzo di ferro non vi permetta di fruire un determinato linguaggio informatico? Persino Microsoft non è arrivata a tanto. E allora com’è possibile una cosa simile? Le antipatie fra società sono l’ultima delle ragioni. Semplicemente Apple non vuole rendere possibile su iPod e iPad la fruizione di alcun linguaggio informatico che non sia di sua concezione. Il motivo? Il timore che qualcuno si possa ingegnare iniziando a ‘scrivere’ App in altro linguaggio, come ad esempio Flash appunto. In quel caso Apple perderebbe il controllo delle vendite di queste super-remunerative e (salvo eccezioni) inutili applicazioni.
Spenderei un’ultima parola riguardo al discorso connettività: non bastassero le imposizioni sopracitate, per le versioni 3G è stato previsto l’inserimento di micro SIM al posto di quelle comunemente utilizzate in ogni cellulare e ‘pennina’ attualmente disponibile sul mercato. Perché? Perché sono più piccole e si sposano meglio al design del prodotto? Buffonate. Sono uno strumento di controllo ulteriore per veicolare gli utenti sui soli fornitori con cui Apple intenda instaurare una partnership (ad oggi Vodafone e 3). Occhio però, perché se tiri troppo la corda la gente poi trova il modo di ingegnarsi diversamente…
Ma ‘alla gente che gli frega’?

Credo sia questa la domanda cardine che si pone il consiglio d’amministrazione quando imboccato dai tecnici si trova a dover prendere determinate decisioni.
E sapete che vi dico? Hanno pienamente ragione. Gli abbiamo fatto capire che siamo disposti a cambiare le nostre esigenze in funzione dei loro prodotti: abbiamo abolito alcuni bisogni e ne abbiamo inventati moltissimi altri (spesso ridicoli) togliendo loro l’obbligo di andare incontro alla clientela, e facendo in modo che sia la clientela stessa a corrergli in braccio ad ogni richiamo. Io per primo quando firmerò la ricevuta della carta di credito con cui avrò appena accresciuto il bilancio trimestrale di Jobs & Co.

Venerdì 28 maggio, pochi giorni fa, stavo tornando a casa in macchina e ascoltavo il giornale radio. Insieme ad alcune notizie rilevanti come l’aggiornamento sui vari tentativi per arginare il disastro ambientale nel Golfo del Messico, ecco che entusiasta il giornalista legge il servizio relativo all’uscita di iPad: racconta delle file fuori dagli store, lancia alcune interviste ai primi acquirenti e così via.
Così, in un attimo penso: cosa succederebbe se un telegiornale desse la notizia che la Volkswagen ha messo in commercio la nuova Touareg? O che l’Uliveto ha creato un nuovo formato di ‘bottiglietta’ che sicuramente faciliterà la vita dei propri clienti?

Un gran casino: ecco cosa succederebbe. Si leverebbero torce e forche contro l’editore che fosse incorso in tale vergognosa marchetta. Perché alla fine le mode sono mode, ma le regole sono pur sempre regole e in teoria non dovrebbero venir meno in funzione di quanto ‘cool’ e alla moda diventi un prodotto commerciale.
Mi faccio tutte queste domande e rapidamente capisco che esattamente come per quanto riguarda Facebook, noi stessi stiamo volendo e permettendo tutto questo. E allora, forse, è davvero giusto così.
Al prossimo prodotto!


Grazie


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