Anne Teresa De Keersmaeker e il principio di essenzialità – Vortex Temporum | Verklärte Nacht
C’è poco da pensarci: la riforma del corpo, il rifiuto dei canoni tradizionali del balletto classico e della sua rigida grammatica, a favore di una danza libera che, poco a poco, ha portato a nuove e personali codificazioni della realtà contemporanea, costituisce una delle principali conquiste del Novecento. Un nuovo umanesimo artistico grazie cui il ventaglio espressivo si è ampliato, fornendo sfumature sempre più complesse e plurali dell’animo umano attraverso il movimento.
A ricordarcelo in questi giorni è uno dei fiori più belli della danza nel panorama europeo, Rosas, la compagnia fondata e diretta dalla coreografa Anne Teresa De Keersmaeker. Insignita quest’anno del Leone d’Oro alla carriera durante la Biennale di Danza di Venezia, l’artista belga è tornata in Italia per presentare al RomaEuropa festival due delle opere del suo repertorio che meglio sintetizzano i principi strutturali di una ricerca in fieri e che al contempo ne esprimono le nuance più inedite: Vortex Temporum e Verklärte Nacht.
Ispirato a un tema caro il rapporto tra presente e passato e al movimento del vortice figura derivata dal cerchio, largamente rintracciabile nelle sue produzioni , Vortex Temporum si articola in tre diversi momenti: a un primo tempo, in cui protagoniste sono le note della composizione spettrale di Gérard Grisey – eseguite dal vivo dall’Ensemble Ictus – segue la partitura muta dei danzatori, densa e complessa, matrice linguistica di quanto sulla scena prenderà forma col ricongiungimento tra musica e danza. È qui che il gioco diventa scoperto, rivelando quello che per De Keersmaeker è da sempre fondamentale: quel rapporto privilegiato con la musica, che non è un danzare con essa, riducendo il movimento a una pura funzione descrittiva della melodia, ma un danzare dentro essa. Questo grado d’immersione che richiama, supera e tradisce a proprio modo la lezione di Cunningham viene qui espressa in un sofisticato meccanismo per cui ogni corpo risponde al suono specifico di uno dei sei strumenti in scena (sette, se si considera il direttore), reagendo a esso come a un impulso involontario. Lo strumento-corpo, il suo movimento, diviene materializzazione figurativa dell’energia musicale, essenza fisicizzata di andamenti sinusoidali e riverberi ipnotici, secondo un inevitabile rapporto magnetico d’interazione.
Si indaga così la reazione del corpo alle spinte di contrazione e di dilatazione del vortice sonoro, il cui asse di rotazione è rintracciabile dapprima nel verticalismo delle vertebre del singolo danzatore, poi nelle intersezioni degli innumerevoli cerchi, simboli forse di diversi piani temporali, attorno ai quali si ricompone in un unico organismo, l’impietosa spirale in cui sprofonda l’articolata varietà di uno stesso universo.
Consolidando il proprio modus operandi, anche qui l’artista belga modella la sua coreografia su una particolare organizzazione dello spazio e del tempo, basata sull’esistenza di forze antagoniste e complementari che rispondono a un’unità, in questo caso indirizzate verso una destinazione priva d’orizzonte ma di cui si intuisce la meta finale, in una luce sempre più soffusa, pronta a spegnersi all’ultimo respiro di un violoncello.
Più intimo e sfacciatamente romantico è invece il secondo lavoro portato in scena al Teatro Argentina, in cui Anne Teresa De Keersmaeker torna a confrontarsi per la terza volta con l’opera di Schönberg, ispirata all’omonimo poema di Dehmel, Verklärte Nacht (↑ ascolto consigliato). Espungendo ogni orpello scenografico dalla prima versione del 1995 – ideata per 14 danzatori – la coreografa giunge all’attuale rivisitazione, vicina a quella dello scorso 2014, di chiara vocazione minimalista: una scena nuda per un duetto in cui si percepisce l’equilibrio tra il rigore formale della partitura e il gusto squisitamente romantico di una passeggiata al chiaro di luna di due creature.
Pur prendendo le mosse dal componimento dello scrittore tardo ottocentesco, anche in Notte trasfigurata il puntuale codice espressivo non si tradisce, non si abbandona semplicisticamente alla funzione narrativa del poema esplicitandone in modo referenziale i momenti più significativi. Eppure è l’intensità del movimento dei due danzatori, il loro prendersi, riaccompagnarsi e lasciarsi, secondo uno schema reiterato di frasi corporee a lasciare emergere con spontaneità le immagini vibranti di un amore contrastato. Una donna rivela al suo compagno di essersi concessa a un altro prima di incontrarlo e ora la vita ne ha fatto vendetta dandole in dono un figlio. Solo attraverso un atto d’amore puro, l’uomo può cingerla e accettare il bimbo come proprio, complice la notte e la luna che lo trasfigureranno, nel loro fulgore, nel frutto del loro sincero legame.
Come in Vortex Temporum, è la luce, semplice e chiara, a scolpire i momenti nella loro intensità, a dare seducente volume al candore e all’inquietudine dei corpi, la cui intimità è così una conquista tra abbracci e ricadute, tra moduli coreografici che tendono a fare del due un uno, un ricongiungimento sintetico degli amanti in un’unica natura, secondo una declinazione personale di quell’ideale di trasfigurazione tanto caro prima agli Stürmer, poi ai romantici.
Avvincenti, articolati, umanamente complessi. In due lavori così diversi, ancora una volta Anne Teresa De Keersmaeker lascia il segno di una cifra stilistica che la rende inconfondibile: quel principio di essenzialità che epura la scena da ogni elemento per mettere al centro lo strumento-corpo, quello Stradivari che, suonato con grazie e rigore, secondo fraseggi ripetuti, dà luogo a quel movimento che è musica per gli occhi. Uno strumento che, nonostante i tempi, costituisce il modo più semplice, più diretto, più potente ma anche più vulnerabile di agire sulla realtà.
Almeno per un artista.