Parricidio e Anarchia
Con 'Anelante' RezzaMastrella inaugurano una nuova Crisi
Non c’è dubbio, nell’eterogeneo panorama teatrale italiano, il caso RezzaMastrella rappresenta un unicum. Foss’anche all’ennesima replica di Pitecus (’95), il pubblico non manca mai: la coppia ha un seguito compatto e fedele di appassionati che di anno in anno cresce sempre di più. «Com’è possibile?», no, la domanda piuttosto dovrebbe essere: «Come mai dopo oltre vent’anni di carriera e tali risultati, ancora non sono stati presi a modello e valorizzati a dovere dall’ambiente?» Molto probabilmente perché sono scomodi, terribilmente scomodi; perché con la loro – per lungo tempo bistrattata – diversità si disinteressano completamente di quella che con fragile cameratismo piace definire «comunità teatrale».
Per averne la controprova basta andare al Vascello (loro casa madre, nonché produttore) dove questi giorni è in scena l’atteso nuovo spettacolo, Anelante (co-prod. dal TPE di Torino). Non solo infatti la sala è piena, ma dagli adolescenti ai pensionati passando per le famiglie con i bambini, il più degli spettatori è visibilmente estraneo al mondo teatrale. Che poi è ciò che si dovrebbe trovare a teatro: «un» – felicemente indeterminato – pubblico; senza alcuna passione monomaniacale o formazione critica di nessun tipo, semplicemente “persone” che tra i mille e più campi di interesse dell’uomo, per quel dato giorno hanno optato per il teatro. Invece no, perché nell’anomalia generale R/M finiscono per diventare una contro-anomalia; ed è sconcertante, anzi, notare quanti appassionati di teatro – forse in obbedienza alla prima regola dello snob, per cui ciò che piace ai più e che vende molto, deve per forza valere poco – guardino al loro lavoro con certo sospetto.
Ma dov’è lo scarto? Cosa c’è di così diverso? Semplice, si tratta di anarchica e dissacrante ironia. Negano tutto, e negandolo lo affermano con inaspettata creatività, altra, spuria di filtri e condizionamenti: l’inarrestabile furia verbale di Antonio Rezza non “richiede” alcuna preparazione: non serve una formazione culturale, né un affinità politica, né una convergenza estetica. Tutto procede, piuttosto, per esasperata deformazione di quella normalità quotidiana che a tutti è già familiare ma che vedendola sovvertita crudelmente dalle sculture di Flavia Mastrella e dall’abbruttimento di Rezza si rivela loro (agli spettatori) nella sua svestita perversità latente. R/M sono la dimostrazione anti-ideologica della vita. E i detrattori che si lamentano di non trovarli divertenti compiono esattamente lo stesso errore di chi legge con estrema gravità la narrativa di Kafka. Insomma, piacciono ai più, perché, convinti del loro metodo, non chiedono di essere apprezzati o capiti, né tantomeno si sostengono con stampelle intellettuali posticce o raccolgono consenso bersagliando il personaggio pop del momento: la loro è anarchia operata chirurgicamente; sovvertono il potere perché non lo riconoscono—a nessuno. E questa, per quanto possa suonare paradossale, è forse la forma più sincera di rispetto nei confronti del prossimo.
Con Anelante si compie un nuovo giro di vite. Dopo l’impeccabile macchina di tortura di Fratto_X (2012) – summa e acme dell’intera produzione rezzamastrelliana – era assai difficile immaginare cosa sarebbe seguito, e ciò cui ora si assiste difatti è proprio una transizione, vale a dire ciò che (terrorismi linguistici a parte) si può chiamare una crisi. È probabile che Anelante deluderà qualcuno, soprattutto chi da Bahamut (’06), 7-14-21-28 (’09) e poi Fratto_X ha assistito a una crescita esponenziale; e certo non si può negare che nel suo complesso questo nuovo spettacolo appaia un po’ slabbrato, più eterogeneo del solito, e con alcuni momenti deboli in cui si rischia (forse per la prima volta) di distrarsi; ciononostante, qui bisogna andare oltre il giudizio di merito – che, lo ricordiamo, ha sempre un valore relativo – e capire che con Anelante R/M stanno lanciando un segnale forte: tutto ciò che hanno creato finora sarà totalmente rivoluzionato. Proprio come accadde ai tempi di Fotofinish (’04), il duo artistico sta rielaborando e rinnovando la propria grammatica creativa.
La novità che salta subito agli occhi è sicuramente la presenza di tre nuovi performer (Manolo Muoio, Chiara A. Perrini, Enzo Di Norscia). E questo sconvolge completamente i “consueti” – se tali si possono chiamare – equilibrî: se inizialmente Rezza agiva da demonietto infestatore negli spacchi fontaniani di Mastrella, per poi poco a poco diventare il tiranno principale (e non solo) del sempre muto Ivan Bellavista, ora per quanto ancora autorevole – nella posizione – egli si ritrova inevitabilmente più “costretto“, il che se da un lato limita consistentemente le bordate sul pubblico (mai bersagliato), dall’altro recupera il meccanismo del contrainte, caricandolo di inquietudine. L’ironia, infatti, anziché liberare per paradosso il suo carico grottesco, lo gonfia stavolta sempre di più fino a raggiungere la saturazione. Tradotto sulla scena: logorrea, logorrea allo stato puro. E il suo effetto è tanto esilarante quanto perturbante.
In breve, la tensione fisica – quella schizofrenico-gestuale tipica degli ossessi antropomorfi di R/M – è ora quasi totalmente trasferita sui performer, mentre Rezza prevarica principalmente con la parola. Parola però che, in pieno stile rezziano, rimane comunque (rin)negata in partenza – in quanto tale –, cosicché, insomma, il flusso verbale ossessivo si fa masturbazione autoironica del pensiero.
L’Anelante, dunque, è una sorta di Leviatano composto da scorie, da scarti della società, della cultura. Si riprende dalla frammentazione del precedente Fratto_X. Sul palco domina la sagoma scenografica creata da Flavia Mastrella: un po’ cortina, un po’ porte e finestre, un po’ televisione-monitor con quelle sue bande nere-colorate che suggeriscono una continua interferenza, è un muro che lascia intravedere solo un braccio, una testa, un piede o un sedere. Al centro, invece, su una fantasia di strisce altrettanto trasversali, Rezza vaneggia formule matematiche sconclusionate, da Pitagora a Newton, postulando teoremi nonsense dai risultati ridicoli che in un sol colpo già mettono in scacco l’economia, la comunicazione, l’istruzione.
Poi il Leviatano comincia a ricompattarsi tra la voce imperante di Rezza da una parte e il corpo dei performer dall’altra, senza mai tuttavia che questa unione scollata lasci sperare in un’unità: affiorano così vertici internazionali impossibili, scene carnascialesche da alienazione giovanile stile clubbing, funerali pornografici, parodie di talk show e altro ancora (disegno luci Mattia Vigo). Finché demolizione dopo demolizione non si ritorna a una sorta di dimensione fetale: nel buio, chiuso in un casco-guscio, illuminato internamente da una ministrobo colorata, Rezza si immerge come un palombaro nel suo subconscio, abbandonandosi luciferinamente a una contro-seduta psichiatrica (di cui, ovviamente, è sia paziente che analista) grazie alla quale può terminare la sua opera di ridicolizzazione dei capisaldi.
E l’Anelante è proprio questo, una manifestazione anarchica di parricidio culturale: Dio, Freud, lo Stato, la casa, la famiglia; si sovvertono gli elementi cardinali del potere costituito per anelare se non un’evoluzione quantomeno un’emancipazione dai condizionamenti. Per farlo, appunto, Antonio Rezza sembra mettere mano a tutte le sue creazioni (ritorna la cantilenante opposizione Gigino/Gigetto; così come le larve esistenziali dei cortometraggi; per non citare la viziosità di Io o la tirannia verbale di Fratto_X), incidendole e recuperandone alcuni frammenti (cfr. etimologia crisi), mentre tenta sulla scena di comprendere come ridisegnare la propria posizione all’interno di uno spazio improvvisamente così affollato.
Forse non tutto funziona perfettamente, forse qualcosa stavolta sfugge al controllo, ma il dispotismo linguistico della seconda parte conferma che la difficoltà è più logistico-compositiva, per così dire, che artistico-creativa. Sicuramente si inaugura un nuovo capitolo. E questo non può che fare onore a una coppia di artisti che nonostante il successo raggiunto non smette mai di sperimentare, inventando ogni volta nuove imprevedibili forme da demolire davanti ai nostri occhi.
Ever tried. Ever failed. No matter. Try again. Fail better.
Ascolto consigliato
Teatro Vascello, Roma – 10 dicembre 2015