Un incubo Art Déco
È con le illusioni di due giovani turiste svedesi appena arrivate a Los Angeles che i produttori Ryan Murphy e Brad Falchuk ci fanno ufficialmente entrare in Hotel, quinta stagione di American Horror Story trasmessa negli Stati Uniti sul canale FX in dodici puntate dal 7 ottobre al 13 gennaio 2016, e dallo scorso 22 dicembre in onda anche in Italia su Sky.
Le ragazze, appena scese dal taxi di fronte all’Hotel Cortez, non riescono a contenere l’entusiasmo all’idea di visitare Hollywood: «Non vedo l’ora di salire sull’attrazione di Jurassic Park!» esclama una delle due. Non possono certo sapere che ben altre attrazioni si nascondono oltre il sontuoso ingresso dell’albergo in cui pernotteranno, come Hypodermic Sally (Sarah Paulson), sensuale freak cocainomane, The Addiction Demon, un’agghiacciante figura bianca simile a una mummia dall’aspetto gelatinoso con un dildo di metallo a forma di trapano, il sadico e raffinatissimo Mr March (Evan Peters) e Miss Evers (Mare Winningham), una cameriera che adora lavare in particolare tutto ciò che è intriso di sangue. E non immaginano nemmeno che la proprietaria del Cortez è un’inquietante Contessa (Lady Gaga), algida femme fatale che un virus dell’immortalità contratto quasi cento anni prima costringe a procurarsi sangue umano per mantenere in vita se stessa e le proprie creature, biondissimi bambini che ricordano i piccoli, mortiferi protagonisti del Villaggio dei Dannati di Wolf Rilla.
Ma è con l’ostilità della manager Iris (Kathy Bates) e gli interni Art Déco tanto sofisticati quanto decadenti che le due turiste riceveranno un iniziale, piccolo assaggio di tutta questa oscurità poco prima di venire annientate. Al di là delle loro maschere di minaccia, i personaggi dell’hotel nascondono tuttavia profonde ferite, sono burattini dipendenti da torbide storie d’amore, sesso, alcol o droga, da traumi del passato senza i quali il loro orrore non potrebbe funzionare così bene. Dal Cortez non ci si può infatti aspettare accoglienza, comfort e protezione, bensì apparizioni, indecifrabili presenze, sangue, bare, materassi trasformati in soffici trappole dove rinchiudere cadaveri o corpi ancora in bilico fra la vita e la morte. Se ne accorgerà poco alla volta anche il detective John Lowe (Wes Bentley), che finirà per trovarsi al Cortez nel corso di alcune indagini su una serie di omicidi. A soggiornare in questo albergo si corre inoltre il rischio di andare incontro a una temibile eternità tutta da disprezzare: chi muore o viene ucciso qui è obbligato a vagare per sempre come un fantasma fra le sue mura. A rafforzare la maledizione del luogo ci pensano improvvisi zoom, affascinanti grandangoli deformanti, splendide carrellate e avvolgenti movimenti di macchina che quasi sembrano allearsi con i corridoi, le stanze, gli spazi trasformando l’hotel in un labirinto drammaticamente irrisolvibile.
In un’atmosfera del genere difficilmente avrebbe potuto stonare un personaggio eccentrico dalle tinte macabre e kitsch come Lady Gaga, che si è offerta in prima persona a Ryan Murphy chiedendogli di entrare a far parte del cast. Murphy, che ha da subito accolto la richiesta con interesse e curiosità, ha mantenuto l’aura stravagante della popstar, ricoprendola però di un’inedita sofisticatezza. La sua Contessa Elizabeth, fra la diva del muto degli anni Dieci Theda Bara, Jean Harlow, la Elsa Lanchester della Moglie di Frankenstein (1935) e la Madonna di Erotica e Bedtime stories, è una delle visioni più interessanti di tutte le cinque stagioni. Con questo suo primo vero e proprio ruolo dopo camei in Men in Black 3, Machete Kills e Sin City Una donna per uccidere, Lady Gaga convince alla fine anche sul versante della recitazione: all’inizio glaciale e come perversamente intorpidita dalla propria eternità, poi, nella seconda parte della serie, pronta a sciogliersi mostrando il suo lato più umano, intrappolato nella ragnatela di un passato di illusioni. Un fascino che aumenta se si pensa ai vari punti di contatto del personaggio con la vita artistica della cantante: la parte della Contessa dona infatti sangue rigenerante alla carriera della performer, rimasta un po’ ferita e resa più mortale dal parziale insuccesso di pubblico di Artpop, suo ultimo disco di inediti giunto dopo una serie di hit che non sembravano conoscere fine. Lady Gaga ha dunque cercato di conferire immortalità alla propria carriera e immagine facendole momentaneamente imboccare la strada del piccolo schermo per continuare a non farsi dimenticare, per tenere in allenamento la propria popolarità in attesa di (provare a) risplendere nelle classifiche con un nuovo lavoro di cui ormai si parla da tempo. I primi risultati concreti non si sono fatti attendere, dato che la voce di Bad Romance ha vinto il Golden Globe come migliore attrice in una serie televisiva o film per la TV.
Da questo punto di vista si potrebbe affermare che Hotel è nato anche come incontro tra due incertezze: quella di Lady Gaga, che ha cercato il successo in un’altra stimolante forma d’arte nella speranza di tornare presto a trionfare nella musica, e quella di Ryan Murphy, che probabilmente ha visto in lei non soltanto una sicura risorsa capace di arricchire American Horror Story, ma anche una garanzia di ascolti in seguito alla decisione di Jessica Lange di abbandonare la serie dopo ben quattro stagioni (ma soltanto momentaneamente a quanto pare, dato che la stessa attrice non ha escluso un suo ritorno nella sesta stagione).
Non pochi fan di American Horror Story avevano infatti considerato l’addio della grande attrice già come un difetto della nuova serie ancora prima dell’inizio delle riprese. Sicuramente, indipendentemente dall’assenza della Lange, in Hotel alcuni punti deboli sono riscontrabili, a partire dalla trama, che soffre talvolta di un’eccessiva somiglianza con quella della prima stagione, Murder House, tanto che le voci più critiche potrebbero vedere nell’ammirevole cura della messa in scena e nelle elaborate riprese un raffinatissimo strumento per distrarre i più da una povertà di idee.
Hotel è in realtà un incubo Art Déco figlio di Shining che ama circondarsi di eccessi, sesso, violenza e glamour, capace di affascinare, irritare, talvolta deludere, per poi sorprendere nuovamente. Accanto, dunque, a magnifici movimenti di macchina, figure memorabili come quella del barman Liz Taylor (Denis O’Hare), idee di grande originalità una su tutte le cause dell’immortalità della Contessa, numerose, splendide sequenze esaltate dall’uso magistrale di una colonna sonora che comprende Depeche Mode, Joy Division, Siouxsie and The Banshees, Sister of Mercy e New Order, vi sono anche personaggi potenzialmente di grande valore ma poco sviluppati come quello di Ramona Royale (Angela Bassett, qui nei panni di un’ex amante della Contessa in cerca di vendetta), storie eccessivamente frammentate, dispersioni, incongruenze e forzature nell’intreccio.
Eppure, nonostante sbavature ed errori vari, Hotel è un’ulteriore conferma del fascino e dell’unicità di American Horror Story, del suo inimitabile marchio in cui rifugiarsi ogni volta che si sente il bisogno di veder convivere brillantemente anche in una singola inquadratura eleganza colta del décor e brutalità sadica dell’orrore, dramma e senso del camp più corrosivo.