Ameluk è un film - esordio alla regia di Mimmo Mancini -che ti fa venire voglia di andare a bussare alle porte dell'Apulia Film Commission e chiedere: perché? Perché un'ennesima commedia dei buoni sentimenti sulla diversità?
Mariotto, un paesino dell'entroterra barese: la trama si svolge tra la chiesa e il municipio. Jusuf (Mehdi Mahdloo Torkaman) è un mite, giovane giordano sposato - non si capisce perché - con una donna pettegola e possessiva; non riesce mai a dire di no, aiuta tutti e ogni tanto va a trovare dei suoi amici che gestiscono un negozio di kebab in piazza. Il venerdì santo è il giorno della processione, Gesù dovrebbe essere interpretato dal barbiere Michele (Paolo Sassanelli), se non fosse per quel piccolo incidente della birra caduta sulle lenti a contatto (!). Jusuf, musulmano, lo sostituisce e nel paese scoppia la rivolta.
Sarebbe auspicabile, necessario, che il nostro cinema mostrasse l'integrazione dello straniero, che non ritraesse i migranti solo come poveri cristi. È giusto che Yusuf sia un bell'uomo, dall'aspetto curato e con una leggera cadenza regionale nella voce, ma in Ameluk purtroppo tutto sembra essere una parodia mal riuscita, una serie di sequenze giustapposte durante le quali il pensiero e la risata sono costretti all'inattività più totale.
La scrittura curata dallo stesso Mancini, che interpreta anche il candidato sindaco di centro destra, è alla continua ricerca di gag e situazioni rocambolesche e chiassose. Alla questione religiosa viene da subito affiancata anche quella politica, come ci si aspetta da qualsiasi realtà di provincia. Perché a Mariotto è tempo di elezioni e ben presto si creano due fazioni: da una parte quella del Bar Italia capeggiata da Mezzasomma (Mancini), personaggio che guarda - molto da distante - al capo dei capi della sua categoria, l'onorevole Cetto La Qualunque, e dall'altra il centro sociale che si stringe attorno al suo confuso, poco consenziente candidato Yusuf. Ecco quindi lo scontro tra chi accusa il musulmano di terrorismo e chi coltiva uno speciale prezzemolo nostrano (e come si poteva soprannominare il leader con la maglia di Che Guevara e la kefiah se non Arafat?). Il tutto osservato con intelligente distacco da un vecchietto ebreo che passa il tempo nella sua sede dell'Associazione per la tutela del congiuntivo.
Tutte le scene sono virate al giallo e un paio di volte la storia si sposta a Bitonto per mostrare la cattedrale in cui lavora una ragazza che, guarda caso, fa la guida turistica. Cosa manca ad Ameluk? Probabilmente in nessuna inquadratura compaiono i taralli.