L’illusione spezzata dall’amianto
Lanzilotti torna sul caso Fibronit con Altrove
Quella tra Fibronit e Bari è stata una storia di amore dai risvolti indesiderati. Una favola nera dal finale tragico e non ancora giunto al termine. Fondata nel 1935, l’ex azienda produttrice di elementi per l’edilizia in amianto ha nutrito le speranze di centinaia di lavoratori, ignari dei pericoli cui andavano a esporsi. Una grande illusione, dunque, terminata nel 1985 anno di chiusura della fabbrica che ha provocato la morte di circa 400 lavoratori, ai quali si aggiungono decine di abitanti dei quartieri a ridosso di quella che è stata ribattezzata la fabbrica della morte.
Su questo doloroso capitolo si basa Pane e amianto. Girotondo di una città sopra un milione di vite, romanzo del giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno Giuseppe Armenise, da cui lo spettacolo di Alessandra Lanzilotti (regia e drammaturgia) Altrove è liberamente ispirato. Un romanzo e uno spettacolo che propongono il punto di vista dell’operaio, inizialmente speranzoso di poter dare una svolta alla propria esistenza, ma ben presto inglobato in un processo di solidarietà, paura e morte.
In scena c’è solo una panchina, forse proprio quella del parco che sostituirà l’ancora presente discarica d’amianto a cielo aperto al termine degli agognati lavori di bonifica. Su di essa è seduto Mario (Mino Decataldo), un nome comunissimo, un simbolo per dar voce ai tanti colleghi legati al caso Fibronit. Il protagonista ripercorre la propria esistenza, la storia di chi ha lasciato il proprio paese per andare a lavorare in quella maledetta fabbrica, ritrovandosi con uno stipendio sicuro e la possibilità di metter su famiglia. Progettare un futuro. Ma con l’insorgere delle prime vittime di carattere tumorale, il suo personale dizionario si arricchirà di nuove parole quali mesotelioma pleurico e trattamento chemioterapico: il sogno inizia a prendere le sembianze di un incubo.
Decataldo guarda sempre per terra dopo aver terminato una battuta. Il suo stile recitativo è macchinoso e sembra aver disperato bisogno degli schemi disegnati per lui dalla regista. Eppure, nella sua interpretazione fatta di (pochi) genuini sorrisi che evocano i momenti più luminosi, d’ingenue accondiscendenze verso i consigli sconclusionati e ingannevoli dei medici, e di malinconiche immersioni nei ricordi, l’attore riesce a reincarnarsi e a sposarsi perfettamente nelle sprovvedutezze e nelle speranze del personaggio interpretato, donando una profondità emotiva inaspettata dopo le prime battute.
Uno spettacolo che riporta a galla un passato non ancora del tutto cancellato e che stenta a trovare una conclusione definitiva. Una denuncia sociale e ambientale da far circolare anche fuori dall’edificio teatrale, specie in quelle scuole dove troverebbe terreno ancor più fertile per sensibilizzare animi su un tema sempre attuale.
Ascolto consigliato
Teatro Abeliano, Bari – 20 febbraio 2016
In apertura: ©Davide Arieni Stardust 2011