È forse uno dei templi più celebrati della fantasia, terra di confine fra il sogno e l’incubo, casa scomoda e accogliente dove tutti, prima o poi, si riparano: è il Mondo delle Meraviglie, o almeno questo è il nome che gli diede Lewis Carroll nel 1865; ma se preferite potete chiamarlo anche paradiso o pazzia, poco importa.
Insomma, bisogna partire da qui per parlare di Alice – Teatrodelleapparizioni e Teatro del Piccione – , non tanto da una “fiaba per bambini” ma da una patria comune che non è segnata su alcuna mappa. Per il pedante reverendo Dodgson fu, inizialmente, proiezione di desideri repressi (difatti la prima stesura portava il nome di Alice underground), per il mondo di grandi e bambini divenne poi caleidoscopio di immagini ritrovate, una storia che rammentava infatti come sfuggire all’ansia del tempo e recuperare la meraviglia. D’altronde com’è che comincia il viaggio di Alice? È tardi, è tardi!
Sulle assi del teatro India però il Bianconiglio (Valerio Malorni) non è un antipatico paggio sempre di fretta, no, assomiglia più a uno stralunato Bugs Bunny che scende giù dalla platea e va a cercarsi la sua Alice nel pubblico (Danila Barone). Già, perché oggigiorno si è persa un po’ l’inclinazione alla meraviglia, e alla nostra contemporanea protagonista ci vuole un po’ prima di cedere all’innocenza, di ritornare a uno sguardo puro, aperto, sorpreso. Le meraviglie e i personaggi (costumi Francesca Marsella) di questo mondo prenderanno così a turbinarle attorno e a travolgere poco a poco la resistenza di una bambina che sembra essere cresciuta senza tanta curiosità.
In una mise en abîme di dimensioni stratificate – resa splendidamente da una costruzione di “sipario nel sipario” – Alice scarterà, strato dopo strato, ogni granitica certezza accumulata, per riscoprire con lo Stregatto (Dario Garofalo) che il mondo ha solo la forma che si vuole vedere, e con il Brucaliffo (Raffaela Tagliabue) che la massima ambizione di un individuo è proprio quella di essere sé stesso.
Aprendosi a tutte le età, la regia di Fabrizio Pallara (sue, anche, le scene e le luci, insieme a Sara Ferrazzoli e Marco Maione) accantona la linearità della narrazione e il ricorso alle parole, puntando piuttosto sull’evocatività delle atmosfere, sulla moltiplicazione di immagini e suggestioni, lasciando così allo spettatore di ogni età spazio per individuare personaggi, ricostruire trame e riscoprire nessi nascosti.
Va detto, tuttavia, che in barba alle indicazioni di età, ieri pomeriggio il piccolo pubblico in sala, per lo più, non superava i cinque anni; e così è venuta a crearsi una situazione paradossale per cui, da un lato, uno stuolo di giovani mamme con sguardo incantato si abbandonava alla libertà di un mondo di meraviglie dimenticate; dall’altro, una brigata di pargoletti figli dei nostri tempi guardava lo spettacolo svogliatamente, impaziente, come fosse troppo drogata di intrattenimento in pillole digitali per concedersi più di cinque minuti di sana e preziosa meraviglia.
Ecco allora che questa trasposizione di Alice (drammaturgia Simona Gambaro) si dimostra brillantemente lungimirante, soprattutto nella sua capacità di mostrare riflessi ironici e penetranti di una realtà frenetica che come una moderna stampante 3d crea piccoli materialisti disillusi già pronti per l’uso. Di qui il ritorno alla responsabilità: cosa vogliamo creare, pezzi di ricambio di un’industria cieca e dissennata o esseri umani capaci ancora di meravigliarsi e sorprenderci?
Teatro India, Roma – 8 dicembre 2014