“Alice, sei tu, tu?” domanda Il Cappellaio Matto che poi tanto matto non sembra ad Alice, che immobile attende un invito ad entrare in casa del suo più caro amico. Potremmo porci la stessa domanda: Alice attraverso lo specchio è il film che ci aspettavamo di vedere?
Alice Kingsleigh (Mia Wasikowska) è cresciuta, è diventata capitano di vascello, ha girato il mondo ed ora è tornata a Londra alla ricerca di nuovi finanziamenti per un altro viaggio. Ciò che la attende sulla terra ferma è un ricatto commerciale, conseguenza di una decisione troppo avventata della madre. Prima che Alice possa trovare una soluzione al mare di guai che la circonda, viene risucchiata da uno specchio e riportata nel Paese delle Meraviglie, dove dovrà aiutare il Cappellaio Matto (Johnny Depp) a ritrovare la sua famiglia, per molti anni creduta morta. Perché ciò avvenga la giovane eroina dovrà viaggiare nel tempo rischiando di compromettere per sempre il corso degli eventi.
Se già nel 2010 Alice in Wonderland di Tim Burton aveva suscitato parecchi dubbi e non aveva convinto la critica, il sequel di James Bobin infligge il colpo di grazia ad una saga in precario equilibrio: per quanto i temi affrontati (amicizia, fedeltà, ammissione di colpa, perdono) siano buoni spunti di riflessione, non vengono approfonditi, vengono gettati alla rinfusa tra una battuta e l’altra dei personaggi, e fatti annegare in un mare di banalità e stereotipi, neanche troppo favoleschi. I personaggi che popolano il Paese delle Meraviglie, sono manichini inermi inseriti più per dovere di copione che per necessità. Persino il Cappellaio Matto e la Regina Rossa (Helena Bonham Carter) perdono potenza, sono sottomessi ad una imbarazzante apatia che impedisce loro di essere anche solo minimamente credibili. Anche la new entry, la personificazione del Tempo (Sacha Baron Cohen), che in un primo momento pare poter vivacizzare la vicenda con risvolti interessanti, finisce per omologarsi alla banda di marionette di decoro. Alice attraverso lo specchio è una favola senza vincitori né vinti, senza buoni e cattivi; tutti hanno una scusante, anche la perfida Regina Rossa finisce per ispirare una pietosa e insana simpatia.
Spesso accade che un cast di grandi nomi riesca a salvare un film destinato ad essere un flop. Non è questo il caso: gli attori si dimostrano incapaci persino di ricalcare le performance mediocri del capitolo precedente, primo su tutti Depp che sembra aver davvero toccato il fondo. Gli effetti speciali risultano ripetitivamente noiosi: al primo viaggio nel tempo di Alice si è già più che consapevoli della ritualità di ogni singolo gesto della protagonista. Se proprio si deve trovare un merito e forse è il caso di trovarlo ci si può rifugiare nel confortevole mondo di pizzi e merletti che abbellisce il reparto costumi: visivamente stuzzicante è l’eccentrico abito cinese indossato da Alice, nota di colore sfavillante tra le sfumature di grigio di un film trascurabile. Ma poiché, nonostante Anne Hathaway faccia parte del cast, non c’è nessun Diavolo che veste Prada, non basta un vestito eccentrico ad illuminare un prodotto scadente.