Alexander Kluge
100 registi (e tantissimi film) che migliorano una vita
Firmatario del Manifesto di Oberhausen nel 1962, teorico e capofila del rinnovamento dello Junger Deutscher Film, Kluge è stato, senza mai scendere a compromessi, uno dei registi più coerenti e originali, ma anche meno popolari, del Nuovo cinema tedesco. Talvolta diseguali nei risultati, le sue opere, anche se tutte di grande fascino e spesso accusate di eccessivo intellettualismo, vanno valutate al di fuori di una prospettiva strettamente cinematografica, quali epifanie di una colta testimonianza insieme letteraria, filosofica, estetica, politico-culturale, tra le più lucide e intense della cultura tedesca contemporanea.
Laureatosi in giurisprudenza, nel 1966 esordisce al lungometraggio con Abschied von gestern con l’amico e sodale Edgar Reitz alla macchina da presa. Partendo dall’idea che il film prende forma nella testa dello spettatore e da una serie di altre suggestioni mutuate dalle teorie estetiche della Scuola di Francoforte (nonché da reminiscenze ejzentejniane), Kluge consegna il primo fulminante esempio di quello stile a collage a cui è rimasto fedele per vent’anni.
Al pari, ma in maniera diversa, di altri pionieri del cinema moderno (Godard o Straub e Huillet), ha fatto tesoro degli insegnamenti di Brecht. Perciò riveste tanta importanza nella sua opera il momento dell’interruzione della fiction, la pausa di riflessione ottenuta con cartelli o didascalie, il commento fuori campo (di regola fatto dallo stesso autore), l’uso di materiali eterogenei, il jump-cut, gli inserti documentari, la musica montata in modo straniante, e l’arma di una pungente ironia dialettica. Il film si risolve così in un lungo e complesso lavoro di montaggio e nell’incontro-scontro tra visivo e sonoro. Tale progetto teorico, compresa la formula dell’autoproduzione e del controllo totale sul proprio lavoro, si ritrova già pienamente nel suo film di debutto.
Il riconoscimento più importante arriva sicuramente con Artisti sotto la tenda del circo: perplessi, Leone d’oro a Venezia nel 1968, una delle vette assolute del Nuovo Cinema Tedesco. Negli anni Settanta firma titoli importanti come In Gefahr und grösster Not bringt der Mittelweg den Tod (1974), Die Patriotin (1979). Esauritasi l’esperienza dei film a episodi e il metodo a collage, nel 1983 torna a Venezia con Die Macht der Gefühle, la sua opera più significativa del decennio. In un’ulteriore elaborazione, la forma narrativa si risolve qui in un sistema organico di storie moltiplicate, aprendosi a un orizzonte cronachistico inteso a fotografare l’umanità alle soglie del terzo millennio. Dello stesso periodo, ma meno incisivi, Der Angriff der Gegenwart auf die übrige Zeit (1985) e Vermischte Nachrichten (1986).
Da quel momento, persa ogni fiducia nella possibilità del medium cinema, Kluge ha proseguito, con la consueta estetica del frammento, la sua indefessa battaglia politica e poetica, realizzando dei battaglieri programmi sperimentali di televisione d'autore. Un altro autore straordinariamente unico, da (ri)scoprire sicuramente, per chi nel cinema cerca una chiave di lettura altra del nostro tempo.