Fra le tante età dell’uomo forse l’adolescenza è una delle più impegnative. Come ogni fase di transizione genera dubbi, insicurezze, crisi; ma la vera ragione di tanta complessità forse va ricercata in una questione che è tanto delicata quanto buffa al tempo stesso: disorientamento. Tanti consigli, tanti doveri, però nessun adolescente, in fondo, sa veramente chi sia, cosa sia; dalla società ricevono solamente una certezza: presto dovranno essere qualcos’altro, dovranno diventare cioè qualcosa che ancora non sono. Ma questo non equivale un po’ a dir loro che non sono niente?
Lo spettacolo di Francesca Pennini va a incunearsi proprio in questo vuoto apparente. Nove giovani ragazzi vicini alla maggiore età vengono chiamati in scena, la ragione? Esprimersi, né più né meno. <age> (che in inglese è anche un verbo – “invecchiare” – ma qui altresì omaggio al compositore d’avanguardia John Cage) finalmente interroga questi futuri uomini e donne sulla propria plastica identità. Ciò cui si assiste però non è una risposta lineare, giacché si imporrebbe loro una grammatica precisa che ancora non hanno maturato, ma una reazione semi spontanea.
Su un palco spoglio ritagliato ai margini da una lunga panca, a sinistra, dove siedono i ragazzi in attesa di istruzioni, e un tavolo, a destra, da cui il tecnico di scena (Angelo Pedroni) conduce i giochi, si assiste a una sorta di rubabandiera implementato. Sullo sfondo viene proiettata una descrizione generica – “esemplare ipocrita/bello/vanitoso/ordinato/vergine/ecc.” -, chi sente di corrispondere si dirige verso il centro e sviluppa la sua narrazione gestuale secondo coordinate predefinite, in una progressione di movimenti che di quadro in quadro si faranno sempre più elaborati; la performance va avanti finché un grande campanello da tavolo non richiama, ogni volta, i partecipanti sulla panca.
Se per i giovani performer questo intrigante meccanismo è percorso di espressione, per il pubblico lo è di attenzione e dunque di conoscenza: impossibile osservare lo spettacolo senza lasciarsi trasportare poco a poco dalla curiosità per quella eterogenea masnada di ragazzi che sembra uscita fuori da un film di Wes Anderson. Lo stesso pubblico romano, inizialmente un po’ freddo e scettico (nonostante un prologo preparativo che, ad avere un po’ di humour britannico, è davvero esilarante), una volta sfondato il muro protettivo – nonché quotidiano – dell’estraneità, si è poi come affezionato ai nove ragazzi, quasi fossero diventati parenti prossimi.
Già, perché il grande pregio di <age> non va ricercato tanto nell’azione performativa (che seppur interessante alla lunga rischia di consumarsi nell’espediente adottato) ma in quella socio-antropologica, cioè nella maniera in cui la performance ribalta completamente la normale percezione dell’adolescenza, portando gli spettatori dalla pigra indifferenza al partecipe interessamento. Quello proposto da ColletivO CineticO – Premio Rete Critica 2014 Migliore Compagnia – , dunque, prima di essere uno spettacolo da apprezzare o applaudire è uno scambio generazionale: con la loro vitalità liquida ed eterogenea, Tilahun Andreoli, Samuele Bindini, Thomas Calvez, Marco Calzolari, Camilla Caselli, Jacques Lazzari, Matteo Misurati, Emma Saba, Martina Simonato invitano ad osservare, accogliere e accettare.
Teatro Vascello, Roma – 2 novembre 2014
In apertura: Foto di scena ©Marco Davolio