SAVAGES-ADORE-LIFE

Adore Life – Savages

Chi pensava che le Savages fossero il tipico fuoco di paglia destinato a spegnersi in maniera rapida e indolore, dovrà presto ricredersi. Il gruppo londinese (Jenny Beth in realtà è francese, ma poco importa) tutto al femminile dimostra con il loro ultimo lavoro, Adore Life, di avere ancora qualcosa da dire all'interno di un genere –– il post-punk puro e semplice –– dato per morto e sepolto piò o meno ogni anno (da trent'anni), ma che effettivamente trova sempre qualche pretesto per tornare prepotentemente in scena.

“Adore Life” arriva a tre anni esatti dalla pubblicazione di quella gemma osannata dalla critica – “Silence Yourself” (2013) – che aveva procurato alla band una nomination per l'ambitissimo Mercury Prize, più la partecipazione a svariati festival, su tutti ricordiamo Coachella Festival. Le Savages riprendono la stessa linea per portarla al livello successivo. Suoni irrequieti ma con una maggiore pulizia del suono; testi pungenti ma più profondi; un uso più consapevole della voce, qui più che mai somigliante a quella di Patti Smith: la band è giunta a una piena consapevolezza dei propri mezzi e non ha paura di addentrarsi in territori più cupi e intimi.

Per comprendere meglio il sound della band, basta ascoltare The Answer, il brano che apre questo disco in maniera aggressiva e isterica. La batteria è martellante (Fay Milton), sostenuta da un basso irrequieto (Ayse Hassan) e da riff pungenti di chitarra (Gemma Thompson), con la voce (Beth) che emerge energica nel ripetere un ritornello fino allo sfinimento. Seguono Evil, in cui la batteria rivitalizza la cupezza dettata dalla coppia basso-chitarra, e Sad Person, dove il basso detta legge scandendo i tempi. Entrambi i brani non possono non essere accostati a quei Joy Division che tanto hanno influenzato il disco d'esordio.

Il clima prende una direzione diversa in Adore, fascinosa ballata oscura, creata intorno alle note precise e rarefatte di basso e chitarra, e in cui la voce di Beth, più potente che mai, si concede un crescendo strozzato in gola, come in una White Rabbit che, però, non raggiunge mai un reale compimento. Non a caso in questo brano la tonalità della cantante richiama quella di Grace Slick, voce, appunto, dei Jefferson Airplane. Fugace interruzione di un disco che continuerà a suon di post-punk con brani come I Need Something New e When In Love. Interessanti, invece, le soluzioni ritmiche di T.I.W.Y.G., pezzo che, con pause e ripartenze, rallentamenti e accelerazioni, è un continuo mutarsi.

Le Savages, dunque, confermano la propria vena creativa in un genere che sembrava aver detto tutto e di più, ma che invece ha ancora qualcosa da concedere. Se continuano così, probabilmente, l'unico rischio sarà quello di risultare troppo ripetitive. Ma per questo bisognerà attendere il prossimo disco.

Grazie


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