Accadere senza che niente succeda
L'ultima poesia di Civica in 'Un quaderno per l'inverno'
Troppo spesso per pigrizia tendiamo a usare una parola per un’altra convinti che in fin dei conti l’importante sia capirsi. Si prendano ad esempio «Accadere» e «Succedere»: li scambiamo in continuazione, ci paion la stessa cosa, quasi fosse un fatto di gusto optare per l’uno o per l’altro, eppure i due verbi vanno in direzioni ben diverse. Se il primo si focalizza su ciò che viene ad essere, a manifestarsi, quindi ha un’accezione atemporale, il secondo è spostato sulla concatenazione di eventi, dunque temporale. Uno tende alla cosa, l’altro alle sue conseguenze. Questioni di lana caprina? Può darsi, ma anche se non ce ne rendiamo conto il nostro modo di reagire ne è fortemente influenzato.
Questa differenza, che nel teatro dovrebbe essere capitale e che invece viene continuamente trascurata, si fa centrale nel nuovo spettacolo di Massimiliano Civica Un quaderno per l’inverno (produzione Metastasio). Un teatro in cui non succede nulla ma che accade pienamente.
Scena spoglia. Un tavolo, due sedie, un professore di letteratura che rientra a casa con in mano una busta di arance, un ladro che lo attende dietro l’uscio con un coltello a serramanico. È un tipico scenario da thriller quello delineato dal drammaturgo Armando Pirozzi, ma la situazione tipo della «trappola» prenderà un’altra strada.
Il ladro non cerca soldi né gioie, si è intrufolato per chiedere al professore una poesia. Una poesia come quelle trovate per caso in un quadernetto in una borsa rubatagli tempo addietro; una poesia che come le altre, così almeno sostiene, possa “incrinare” la gabbia del coma in cui sua moglie è caduta; una poesia, un’altra soltanto, per sperare che la realtà non sia sempre così data e magari conceda un margine all’improbabile. Di poesie, però, il professore non ne ha scritte più da allora, che era innamorato, né ha intenzione di scriverne ora, che innamorato non lo è più, tantomeno poi senza ispirazione, incalzato così. Ma la surrealtà della situazione, più che l’inconsistenza effettiva della minaccia, lo porteranno a cedere. Un’ultima poesia poesia contro ogni probabilità.
Seguiranno due tappe ulteriori: le conseguenze (possibili) di quella poesia, qualche ora dopo, e le conseguenze (reali) di quell’incontro, otto anni dopo. Cinquanta minuti appena, rapidi, spiazzanti. Sembrerebbe mancare qualcosa tanto è breve, quasi dovesse esserci una conclusione che invece viene negata. Ma è proprio qui che la differenza fra «accadere» e «succedere» si fa centrale.
Pirozzi non scrive né un finale aperto alla maniera della letteratura del Novecento, né una parabola narrativamente rassicurante come è tipico delle scritture del Duemila. Semplicemente non risolve. Ma perché? Perché – verrebbe da rispondere – la vita così è: illogica, sghemba, fine a sé stessa. Se ci si aspetta che succeda qualcosa è segno che niente può accadere, perché così facendo si negherebbe il presente in proiezione di un futuro auspicato. Non risolvere, al contrario, sposta tutta l’attenzione su ciò che capita mentre (ci) capita: non potendolo inquadrare secondo una logica di causa-effetto saremo portati a viverlo con complicità, sul momento.
E qui, difatti, dopo poche battute ci si dimentica di stare a teatro: le luci non cambiano, non cambia la scena, non interviene alcun commento musicale, perfino la recitazione di Alberto Astorri e Luca Zacchini è tutta giocata per sottrazione. A volte si ha quasi l’impressione che i due siano il vero professore e il vero ladro chiamati a re-citare la loro storia: né spontaneamente né ad arte, ma così, buttata via, come se non ci fosse troppo da farvi attenzione. È tutto altamente improbabile eppure «accade»: ciò che potrebbe «succedere» è talmente difficile da immaginare che vi si rinuncia volentieri, e in questo fiducioso abbandono all’imprevedibile il teatro in quanto tale si realizza in tutta la sua natura più profonda.
Per questo ci sembra un piccolo tradimento una delle battute finali in cui il professore dice al ladro:
«Il modo di pensare a tutto quello che significa la mia vita è così completamente intriso dal ricordo di quella notte che è davvero difficile per me parlarti adesso. Tu sei diventato un simbolo per me, un simbolo di tutto quello che nella mia vita ha senso: ha senso nonostante mi accanisca a dire che non ce l’abbia. Che io non avrei mai voluto vederti più.
Un simbolo dovrebbe essere qualcosa di lontano, di irreale. Invece eccoti qua.»
Un’esplicitazione che rischia di voler spiegare ciò che è già evidente, ribadendolo teoricamente. Certo, un professore potrà anche dirlo, ma sembra una forzatura assertiva (cfr. Scimone/Sframeli o Vetrano/Randisi).
Mentre invece molto più interessante e purtroppo – a nostro avviso – poco sviluppato è il fatto che il ladro torni dal professore coltello alla mano, pretendendo candidamente che l’altro non ci badi più di tanto, perché quello dopotutto è solo il suo «mestiere»; anzi, gli racconta la sua vita, si confida, lo invita a chiacchierare come un vecchio amico, ma il professore non può, non riesce, non vuole, quel rubare rappresenta inevitabilmente un forte tradimento del patto sociale, cioè di quella fiducia che tra i due non potrà mai esserci fino in fondo eppure in qualche modo si è stabilita (cfr. La favola della rana e dello scorpione).
Civica ci ricorda la grazia degli imbranati: la nostra, tutti quanti. Creature buffe e poetiche, smarrite in un evento – la vita – che non ci potevamo aspettare ma che pur ci è capitato. Possiamo farlo «succedere» così da instradarlo, sì, ma se lasceremo che «accada», comunque andrà, l’improbabile aprirà le porte al reale (difficile non scorgere in tutto ciò – anche – una velata denuncia allo scenario produttivo-artstico teatrale italiano e alla retorica del «successo»).
Così accade in Un quaderno per l’inverno: un teatro semplice, volutamente dimesso, ricchissimo, che al contrario di tanti spettacolacci ‘urgentemente’ contemporanei dissimula continuamente la sua complessità riattivando la necessità pura e preziosa del fare teatro.
Ascolto consigliato
Teatro India, Roma – 20 aprile 2017
UN QUADERNO PER L’INVERNO
di Armando Pirozzi
uno spettacolo di Massimiliano Civica
con Alberto Astorri e Luca Zacchini
scene Luca Baldini
costumi Daniela Salernitano
luci Roberto Innocenti
produzione Teatro Metastasio di Prato
con il sostegno di Armunia Centro di Residenze Artistiche Castiglioncello